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ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2015 ISTRUZIONI PER L’USO
 
 
Le elezioni amministrative del prossimo maggio interesseranno anche Avigliano. Ogni appuntamento elettorale va onorato innanzitutto andando a votare. Da tempo sono sempre di meno quelli che si recano alle urne, perché diffuso è il disgusto nei confronti di da una fetta – e sottolineo fetta - di classe politica seggiaiola e da una prassi – sempre riferita alla “fetta” di cui dianzi - che fa mercimonio della “cosa pubblica”. Si va a votare e senza turarsi il naso, come suggeriva l’ottimo Montanelli: l’immondizia, quando c’è, può anche essere prodotta dai nostri pensieri, opere e omissioni.
Ogni appuntamento elettorale va onorato tenendo vivo un dialogo intelligente con gli amministratori, con quel che resta dei partiti: un dialogo che non viva di vampate pre e post-elettorali. E’ pur vero che un dialogo intelligente, incalzante, propositivo, elegante per modi e contenuti può anche essere ignorato o mal sopportato sempre da quella fetta di classe politica di cui dianzi.
Lo dico a ragion veduta, riflettendo sull’esperienza della CTP (Conferenza Territoriale Permanente) delle donne del PD di Avigliano. L’organismo, previsto dallo Statuto del partito, ha portato avanti, sin dalla sua costituzione, iniziative e proposte sempre di spessore, grazie alla professionalità, competenza e sensibilità di tante donne che ne facevano parte. Personalmente ho sempre apprezzato – pur non entrando spesso nel merito – il loro lavoro, al quale il nostro giornale ha dato visibilità quando richiesta.
Da un anno, o giù di lì, la CTP non fa sentire la sua voce, che sarebbe stata utile in questa vigilia elettorale. Un silenzio momentaneo? Lo spero, ma ci credo poco.
Chi lo dice? La gente, non quella anonima cara alla Tina Pica di “Pane, amore e fantasia”, ma quella che dagli spifferi provenienti dalle stanze di Vico Labella sente dire che la CTP aviglianese è stata ammutolita dall’indifferenza e supponenza della vecchia e nuova segreteria del PD.
Chi lo dice? La gente.
Se tanto mi dà tanto, dovremmo dire: “Politica, arrivederci e grazie”. Certamente no. Non interessa il come e il quanto, ma è importante non interrompere il rapporto con “la più alta forma di carità”, per dirla con Paolo VI.
C’è sempre e solo da rimboccarsi le maniche per contribuire in un qualche modo a realizzare una società più giusta, a cominciare dal proprio paese. Bisogna imparare a “esserci” e a farci sentire, anche se la nostra voce dovesse avere come interlocutore il deserto, o un ristretta fetta di sordociecomuti.
Come ci si rimbocca le maniche? Guardandosi intorno e facendo tesoro della “fetta buona” della classe politica, della società civile.
Il sette gennaio scorso “Repubblica” ha pubblicato una “lettera a un ragazzo che vuole fare politica” scritta da Michael Ignatieff, un intellettuale prestato alla politica e da questa restituito alla vita accademica senza troppi complimenti.
In essa racconta cosa ci vuole per fare politica e dà alcuni consigli basati sulla sua esperienza come capo del Partito Liberale del Canada.
Una sera di ottobre del 2004, tre esponenti dei vertici del Partito liberale vanno a trovarlo a Cambridge, nel Massachusets per proporgli di tornare in Canada e di candidarsi con loro, con la prospettiva di diventare primo ministro. All'epoca i liberali erano in crisi e vedevano in Ignatieff il salvatore della patria. Succede anche dalle nostre parti: quando si avvicinano le elezioni le segreterie dei partiti invitano donne, giovani ed esponenti della società civile a candidarsi, offrendo mari e monti. E poi... ma vediamo cosa è successo a Ignatieff.
La proposta gli sembra subito insensata, pensa di rifiutare, ma poi accetta. A fargli compiere quel passo è, come scrive nel suo libro autobiografico Fuoco e cenere: successo e fallimento in Politica, “la hybris, la presunzione che porta alla rovina gli eroi della tragedia greca”. L’esperienza non va come aveva immaginato. Il partito lo scarica, insofferente dell’autonomia
culturale del nostro, che lascia tutto nel 2011: “Ho sacrificato la mia posizione accademica per entrare in politica. Ora ho perso anche la mia autorità intellettuale”, scrive oggi, a 67 anni.
Eppure, nonostante la sua sia la storia di un fallimento, a coloro che pensano di impegnarsi dice di non trarre conclusioni sbagliate. E che la politica non è solo un gioco sporco, dal quale è meglio tenersene lontani, ma una nobile lotta che richiede più autocontrollo, capacità di giudizio e fermezza interiore di quanta uno immagini di avere. E se alla fine rimane solo cenere?
Ignatieff risponde con una tenera immagine della sua infanzia: i suoi genitori spalavano le ceneri dalle braci sulle radici delle rose che adornavano il giardino di casa.
Io rispondo con un’immagine altrettanto tenera della mia infanzia: i miei genitori con la cenere facevano la liscivia (la ressìa): filtrandola in acqua bollente, ottenevano un detersivo per i panni. E con questi pensieri prepariamoci a scegliere i nostri amministratori “nuovi”.
Che Dio ce li mandi buona, anche se pure Lui deve fare i conti con “quella fetta di classe politica di cui dianzi”.... Se, però, noi gli diamo una mano, gli facilitiamo il miracolo.
(Ypsilon n.1 -2015)
 
inviato il 15/04/2015
da Lello Colangelo
 
 
 
     
 
   

I COMMENTI DEI VISITATORI
Enzo Claps da Avigliano | 15/04/2015 - 19:11
 
Ricordando a me stesso che Arlecchino: serve più padroni perché non ne ha di specifici. A questo articolo che certamente non è un modello d’insegnamento per chi dirige un giornalino - YPSILON a beneficio di giovanissimi aspiranti giornalisti: Rispondo con la parola di Giannini il quale – con esagerazione e con verosimiglianza – nel 1951 scrive: “Sono ancora vivo: dunque la mia battaglia può continuare; sono sempre forte: dunque posso e debbo battermi nella piena fiducia d’una vittoria che vedo sempre più completa e sempre meno lontana. Questa vittoria sta nel sempre più vasto e più forte affermarsi di “quel nuovo modo di pensare politicamente e socialmente” che in tutto il mondo ormai si chiama Qualunquismo. Anche se dovessi morire fra un minuto il Qualunquismo è giunto a un tale stadio da assicurare alla mia famiglia e ai miei amici l’eredità d’un nome e d’un pensiero che mai, nei miei più ambiziosi sogni di giovinezza, avrei osato sperare quali ormai sono “.