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UNA FOTO CHE RACCONTA
 
 

É vero. Si. É vero, ci sono fotografie che più di altre ti restano impresse e le porti con te a lungo, forse per sempre, e, magari senza avvertirne alcun peso, tanto sono lievi. Nemmeno ti accorgi di custodirle, di trattenerle come reliquie preziose con la dolcezza di cui sai disporre. Sai che sono là pronte a darsi o a ridarsi, ogni volta che lo vuoi: come fossero eroine del Caffè Chantal. Restano là, ferme, le riosservi e, nella loro dimensione di illusorietà che sempre dispensano, trovi un nuovo particolare. Foto belle, vulnerabili, fragili o resilienti: a volte “cattive” altre volte inutili gioielli, destinate, come sono, al buio di qualche tiretto. Foto chiassose, che dicono, che parlano di più, perfino di quel vecchio, unico, superstite compagno cubano che è Fidel. Insomma, foto per niente scontate. “Invidiate”, che molti altri avrebbero voluto scattare, senza mai confessarlo.

Foto irripetibili, ma riproducibili all'infinito: esattamente quella. Soddisfatta in quel momento, in quel posto, dove quel soggetto, quel paesaggio, pur essendo là da tempo, mancava di qualcosa, di “quel non so che” come avrebbe detto N. Bixio. Magari quel tenore di luce, o la pioggia; quell'auto, o quel riflesso; addirittura quel suono. Lo stesso che si libra dalle corde dell'anima e intona il bel canto dell'arte al punto da diventare bella matrice, talvolta volgare e spudorata emulazione. Mi sia dato dire che anche questa di Ortensia, è una foto fuori dell'ordinario. Il suo occhio, evidentemente, continua a crearci delle aspettative che onora deliziandoci. Difficile per me da paragonare, indicarne ispirazioni od ascendenze. Di certo so che per essa non può bastare questa mia cifra per rendere giustizia della sua complessità, tuttavia ci provo e, per amor di analisi, procedo, forte delle conoscenze (essenziali) apprese grazie a Lino Giordano che moltissimi anni fa pensò “GRANDANGOLO”: una delle primissime associazioni culturali aviglianesi che frequentai insieme ad altri amici e che le reiterate grida di dolore lanciate dalla “mia” Praktica, e, per fortuna della Fotografia, lasciai, dedicandomi a nuovi interessi di cui taccio la natura.

“ Esplorare, esplorare, esplorare anche più volte lo stesso luogo” questo era il motto che ci ripeteva Lino Giordano, “perché durante il giorno e nelle diverse stagioni le condizioni di luce suscitano differenti ispirazioni”. Evidentemente questo suggerimento, quando si tratta di fotografare il paesaggio, vale ancora oggi, in piena era digitale, lontano anni luce da quando il bravo e paziente Lino ci parlava dell'importanza dell’alogenuro di argento, di esposizione, di messa a fuoco... Sei al primo colpo d'occhio e già irrompe tutto il panorama. Sei colpito oltre familiarità, forse per la insolita inquadratura scelta da Ortensia, che amplifica e magnifica il suo particolare a volerlo scorgere e correlarlo. La scena ha calato il sipario. Appare sbilanciata a causa dalla disposizione importante delle abitazioni, che interessa tutta l'area di destra. Già qui percepisci che sei di fronte ad un fare fotografia che induce a ragionare, che ti porta a considerare come il carattere eterogeneo, oltre i canoni ellenici della simmetria, possa, al suo pari, essere capace di generare emozioni estetiche, ma solo se ti denudi dai preconcetti e guardi al mondo con un atteggiamento aperto simile a quello rinascimentale.

Qui, i volumi ben definiti dalla luce, denunciano, evidenziano di un disarmonico caos, frutto evidente di un continuo martellamento di intervento urbano perpetrato a danno di quell'armonia che dicono esserci appartenuta almeno fino a quando la banda sociale degli artigiani ha ceduto il passo svendendo i saperi a favore della costruzione del ceto medio. Lo squilibrio che si legge, in realtà, per quello che mi riguarda, è solo apparente. Evidenti, invece, sono le variegate tipologie abitative con i loro vuoti: un paesaggio al limite del surreale, con quel carico di nubi che lo avrebbero reso spettrale e desertico, non fosse stato per quella breve interruzione, promossa da quella figura che si intuisce esserci dentro l'abitacolo meccanico, coi suoi fari accesi che riflettono la luce sull'asfalto. A mettere definitivamente le cose a posto c'è quell'imponente volume totemico embricato, appena al di qua del primo piano (che resta il punto di osservazione da cui Ortensia ha dato inizio a questa storia), che si raggiunge percorrendo i tratti metallici, intervallati, costretti, incastonati nell'asfalto. La pioggia, non è fotografata eppure c'è. Ha reso tutto di un lucido riflettente, come testimoniano i fari della vettura, di cui si è già detto, che muove verso il basso, ma anche quei filamenti avviluppati, che ricordano una sorta di sistema venoso e che impegnano la strada, che, sulla scena di destra, degrada: il richiamo al pericolo di declino? Si avverte.

Esso confina, proprio come confina la struttura superba, irrigidita nel suo calcestruzzo, segnando, con un suo estremo, l'esatta metà della fotografia; la linea marcata che ha impressa lungo la sua parallela sembra voler ribadire, rimarcandolo, il “duale”, ma questa volta lo sostanzia proiettandolo verso il cielo, riferendoci di quel corpo sottile ed esile:l'antenna. Qui, per capire, la prova richiesta è più difficile, quasi erculea. Sei chiamato a superare con uno sforzo di astrazione, la coltre di nuvole grige ispessite, disposte a barriera: un muro, un altro muro da abbattere. Una voce che grida alla dualità nei suoi significati: evidenziata, forse esasperata, dalle linee prospettiche, ora ascendenti, ora discendenti che disegnano una clotoide chiamata a raccordarle. Avverto di un concetto forte, che tende a far affiorare la bellezza attraverso una sorta di sublimazione della dissimetria. Una foto nella quale tanto l’accumulazione delle molteplicità, quanto l’insolito o il difforme si elevano a qualità estetiche. Brava! Ortensia ci ha offerto un tentativo di proposta per un ragionamento articolato nel quale le eterogeneità e le discontinuità non sono appannaggio della sola periferia contemporanea, ma sono presenti e ci accompagnano in ogni ora del giorno anche in pieno Centro Abitato. Fossi stato un poeta avrei sintetizzato con “La solitudine della moltitudine, nella moltitudine”.

In realtà si tratta di un'espressione rappresentativa di un percorso per niente facile nel complesso rapporto che insiste tra fotografia e paesaggio urbano; e, com'è proprio della Fotografia, questa fotografia è il medium che ci aiuta a capire il nostro territorio, cogliendone ed evidenziandone le trasformazioni avvenute. Ortensia, con questa foto costruita con idealità e corretto corredo ottico, ci affascina come altre volte ha fatto e ci delizia perpetuando la malia con la quale ci conduce al di là dal semplice vedere.

 
inviato il 16/11/2015
da Donato Claps
per la categoria CURIOSITÀ