QUANDO LA STORIA È... CATTIVA MAESTRA

Qualche tempo fa, in una scrittura al limite della sua decifrabilità, rinvenni questo testo, che trovai neutro. Ammetto, non ne compresi il senso, vuoi per la sottigliezza ad esso sottesa, vuoi per la qualità calligrafica, vuoi per il mio carico - non idoneo - di materia riflessa di un mix bianca e nera, vuoi perché privo (io) delle necessarie sovrastrutture o forse anche per tutte queste cause ed altre ancora messe insieme, resta il fatto che non capii il messaggio che quel bizzarro e sconosciuto autore voleva trasmettere, ove mai fosse questa la sua volontà. Riporto integralmente il contenuto dell'annotazione con una qualità di scrittura - non olografa-  quindi comprensibilissima grazie ai tipi che l’informatica ci mette a disposizione.  Chissà se a “ripropormelo” adesso mi aiuterà a capire quello che non compresi allora... Ci provo! «Tra gli innumerevoli suggerimenti che si “ascoltano” in giro, vi sono quelli che raccomandano di dividere, differenziare, catalogare una cosa, un’entità, una identità a secondo del suo precipuo, tenore, funzione o aspetto. Non abbiamo fatto integralmente nostro questo suggerimento, anche per salvaguardare quel dato assoluto che riferisce di realtà immutabili nel loro essere precise e non sfumabili. Le ripartizioni, ricordiamo, hanno dei limiti poiché prescindono dal considerare l’esistenza delle tante sfumature intermedie che innegabilmente ci sono e che servono a definire un campo di indagine e la sua la complessa attività percettiva che impegna l’aspetto ed il suo dato psicologico, metodologico e operativo, col quale procedere correttamente all’analisi. Una di queste categorie, quella che il nostro idioma rappresenta senza spazio di traduzione, è (eglia)“ lu Ciùtisck”. Come anzi detto, pur essendo il lemma intraducibile, anche per non far torto al suo contenuto poetico, di seguito, proveremo almeno a rappresentarne, con cosciente grossolano tratteggio, la sua tipicità, con la prosa e senza escludere il suo etimo. Dunque, partendo proprio dalla sua etimologia e traslandone la marcatura fisica, riferiamo che il sostantivo de quo, si vuole derivato dalla specie degli ominidi (quella che va sotto il nome di Homo Erectus). In questa fase evolutiva la posizione eretta consentiva una migliore agilità di moto - mhòth – (notoriamente, da noi, chi fa troppi Mhòth, èglia Ciutisck); quindi al fatto che questi, del moto, ne facesse spropositato uso anche quando non espressamente richiesto (magari ad operazioni di caccia concluse, o quando un fatto avesse visto spenta la sua eco); infine, che lo stato di inopportuna perpetuità lo “conduce” propenso al racconto per immagini mimate come vacuo orizzonte di senso. È proprio dallo scherno cui “lù Ciùtisck” si sottopone, che trovo emergere sino a farlo brillare, il suo contenuto poetico, la cui  essenza lirica porta nutrimento al più disparato genere della sua figura di genere evoluto.  In tutto questo, però, e bene ricordare che a  lù Ciùtisck, (descritto, si spera, in termini scherzosi e chiari) corre parallela un’altra figura, quella r lù Cìàmbhutthòn, per la quale non vi è traduzione possibile, nemmeno quella poetica che abbiamo tentato di fare per la prima a mo' di prosa.  Se ci è dato, vorremmo per questo, consigliare di guadagnare distanza dalle due figure, in modo da preservarvi l’immunità. Lo consigliamo pur sapendo che non vi è stato chiesto né ottenuto obolo alcuno, e che, nell'impresso moto accellerato uniforme, potremmo rincorrere noi stessi.» No. Niente da fare, continuo a non capire. Tutto è immutato, cristallizzato, fermo e immobile, anzi è diventato più nebbioso. Ma, vuoi vedere che è proprio questo quello che lù Cìàmbhutthòn vuole?
08/08/2014 - autore: Donato Claps
categoria: CRONACHE POPOLARI
 
     

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