É DALLA BARRIERA CHE SI AFFACCIA L'IPOCRISIA E IL TACHEOMETRO LA SVELA A 360°

Cara Carmen,
ho letto con attenzione la tua lettera. L'ho potuto fare grazie alla sua riformulazione, secondo il modello di “lettera aperta” pubblicata su di Aviglianonline, che immagino tu hai voluto, per evitarci l'imbarazzo di violare il segreto dei suoi contenuti, e forse, anche per indicarci particolari sensibilità. Con l'attenzione di cui sono solito usare quando le missive hanno, come questa tua, trattazione di problematiche sentite e difficili da esporre compiutamente, a mente non solo della disponibilità dello spazio riferito da una lettera, ma anche a causa della loro articolata complessità, mi appresto, solidarmente, a risponderti, perché come te, ma da angolatura differente, intendo la questione come materia angosciante, la cui evidenza, è auspicio, trovi una soluzione concreta, e, possibilmente, immediata. Non sia dunque per mia difesa d'ufficio verso l'Istituto cui tu, giustamente, hai inteso indirizzare le tue derivazioni (me ne guarderei bene dal farlo, per almeno due ordini di motivi: primo perché non ancora concluso il percorso di studi propedeutico; secondo per la consapevolezza di incorrere in spiacevoli evidenze che mi vedrebbero accusato di millantato credito o di esercizio abusivo della professione, da cui, forse... risulterei soccombente!). Il il tema che hai posto è un problema serio e la sua, pressoché, generalizzabile disattenzione rispetto a tutto quanto è ritenuto, apostrofato, descritto, indicato, allibrato ed anche utilizzato... come "diverso", trova un campo di applicazione sterminato. Merita, a mio avviso, molto di più che una difesa indicativa di una rappresentanza democratica, che, seppure autorevolmente espressa, mal si coniuga con la soluzione, permanendone, purtroppo, il disagio e la problematica. In coscienza e per onestà intellettuale, senza credere di impersonare la figura di Atlante, (non ho alcuna sfera lapidea a rotearmi su per il collo) sento mia una parte della responsabilità che vede l'edificio de quo non corredato da misure ed accorgimenti atti a far godere tutti delle manifestazioni che in esso accadono (e, qui, il verbo non è stato usato impropriamente). Come saprai, anch'io ho avuto, nei miei trascorsi, un ruolo di rappresentante democratico. A volte confortato, tante altre no, ho cercato di assolverlo secondo quel disposto etico e morale che vuole l'esercizio politico non come profilassi e protocollo per posizionamenti personali e scaramucce varie, ma quale momento di riflessione ed azione per migliorare una comunità nelle sue cose quotidiane ancor prima che culturali. Tu riferisci della Organizzazione delle Nazioni Unite, che nel 2006 approva la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, e fai bene, io aggiungo che qualche anno prima, nel 2003, le Autorità intesero assegnare alla Storia quell'anno, quale Anno Europeo delle Persone con Disabilità, e una solenne cerimonia, ricordo, assegnò al nostro Paese Italia, il Premio “Roosevelt Disability” per sottolineare il lavoro fatto e per stimolare sempre maggiore impegno istituzionale in questo campo. Forte di queste motivazioni, presi la palla al balzo e stimolai una prima fase di ragionamento sul problema, proponendo che già in fase di programmazione delle Opere Pubbliche (Atti ed obblighi in capo alle Amministrazioni Comunali) venisse rafforzato quanto, già di suo, la norma conteneva, ovvero che venisse sottolineata la volontà di abbattere le fatidiche barriere architettoniche!. Adesso, concedimi ancora un poco della tua attenzione, perché ti profili non una serie di considerazioni o di conforti legislativi, anche di respiro non esclusivamente nazionale, ma solamente il mio personale disagio, o se vuoi, il mio senso di colpa e di corresponsabilità, per non essere riuscito ad avere ragione del dato di cui la democrazia, non la Democrazia, si alimenta: quello numerico! Proprio il Polivalente, in quel modesto contributo che ho potuto dare a suo tempo, trovò diverse occasioni di forzata discussione, ma, forti dei disposti legislativi che farragginosamente disponevano dell'esecuzione delle Opere Pubbliche in quel momento storico particolare, molti di quei interlocutori istituzionali, tirarono in fretta la doppia di somma. Il mio unico risultato, grazie anche al conforto autorevole, che l'allora punto di sintesi istituzionale esprimeva, si riusci a ridefinire solo in una soluzione progettuale che contenesse e portasse a soluzione il problema dell'abbattimento delle barriere architettoniche. Il risultato? Ahimè, solo una ulteriore dilatazione dei tempi di consegna, sino al recente recidere di nastro. Il dramma vero è che continua a consumarsi questo stato di cose nella generale ipocrisia del legislatore, sordo alle grida della disperazione in cui l'handicap ha dimora. Viviamo una Società che ci cannibalizza, altro che liquida. Una società in cui tutti (moltissimi) prendono a modello quello dell'antica Sparta micenea. Non è giusto. Non lo è affatto. E seppure confesso del mio deditionem deficere, sono e resto sempre di più convinto che di una Società, non solo nel suo significato astratto, ma anche quando ha un volto o dei volti che la rappresentano, il modello a cui guardo è quello che tiene in se i deboli e si prodighi per rimuoverne questo loro stato di cose. Sarà utopia? Evviva. Lo sia!
21/03/2015 - autore: Donato Claps
categoria: CRONACHE POPOLARI
 
     

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