1863 - IL RE D’ITALIA VITTORIO EMANUELE II PROMULGA LA LEGGE PICA – ALTRO CHE “FRATELLI D’ITALIA”.

Una legge presentata come “mezzo eccezionale e temporaneo di difesa” – non era altro che una legge con la “licenza di uccidere i meridionali”

Vittorio Emanuele II - Per Grazia di Dio e per Volontà della Nazione – Re d’Italia - Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato - Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Art.1 ”Fino al 31 dicembre corrente anno nelle Provincie infestate dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con Decreto Reale, i componenti comitiva o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche vie o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai Tribunali Militari, di cui nel libro II, parte II del Codice Penale Militare, e con la procedura determinata dal capo III del detto libro (…)”. Con questa epigrafe insieme al I° articolo, inizia la legge Pica del 1863. Continuando a leggere i successivi articoli e regolamenti attuativi dell’epoca, forse, è meglio dire che si tratta di una legge con la “licenza di uccidere i meridionali”. Una legge presentata come “mezzo eccezionale e temporaneo di difesa”, valutata e combattuta, dall’opposizione parlamentare di sinistra, come una violazione dell’art. 71 dello Statuto del Regno poiché il cittadino “veniva distolto dai suoi giudici naturali” per essere sottoposto alla giurisdizione dei Tribunali Militari e alle procedure del Codice Penale Militare. Altro che “fratelli d’Italia”. La storia ci racconta di un cuore buono, quello del Re sabaudo Vittorio Emanuele II, che, commosso dal “grido di dolore” venuto dall’Italia Meridionale, chiamò e armò Garibaldi con Mille improbabili liberatori con il compito, a suo avviso, di bastonare e avanzare per accendere il fuoco della ribellione contro il tiranno Borbone re Francesco II. All’inizio andò proprio così. I meridionali di idee liberali accolsero Garibaldi come il messaggero liberatore, mentre, all’insaputa del generale e dei meridionali stessi, entrava in causa l’opera di intelligence posta in essere segretamente da Cavour, che nel frattempo si era comprato molti degli ufficiali dell’esercito borbonico. Costoro fecero in modo che i soldati di re Francesco II non ostacolassero in alcun modo l’invasione e gli insorti. Bastò poco per far capire al popolo meridionale che Garibaldi non veniva a portare la libertà, ma semplicemente a sostituire un re con un altro. Alla faccia della retorica risorgimentale, i “fratelli d’Italia” ci abbracciavano per liberarci dal medioevo borbonico. Come? Conquistando con l’incanno il Regno delle Due Sicilie che era almeno vent’anni avanti rispetto al resto d’Italia, Piemonte compreso. Appunto coi bersaglieri ed i fanti dell’esercito piemontese, soldati che prima sparavano e poi controllavano chi avessero davanti, fossero anche donne, bambini o vecchi indifesi. Nel 1863 il governo neo-italiano, con la scusa delle sommosse eversive, fece promulgare al re sabaudo lo stato d’assedio per le regioni meridionali, autorizzando così la sospensione delle leggi civili ed il passaggio al codice penale di guerra. Così venne promulgata la cosiddetta “Legge Pica“ (rimasta in vigore fino al 31 dicembre 1865), che prendeva il nome del deputato abruzzese che la formulò. Per oltre due anni trasformò le regioni meridionali in un immenso campo di combattimento. Basta prendersi la briga di collegarsi al sito ufficiale dell’Arma dei carabinieri (http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Ieri/Storia/Vista+da/Fascicolo+6/04_fascicolo+6.htm)
, ed ecco cosa si legge: “La legge Pica permise la repressione senza limiti di qualunque resistenza: si trattava, in pratica, dell’applicazione dello stato d’assedio interno. Senza bisogno di un processo si potevano mettere per un anno agli arresti domiciliari i vagabondi, le persone senza occupazione fissa, i sospetti fiancheggiatori di camorristi e briganti. Nelle province dichiarate infestate da briganti ogni banda armata di più di tre persone, complici inclusi, poteva essere giudicata da una corte marziale. Naturalmente alla sospensione dei diritti costituzionali (il concetto di diritti umani di fatto ancora non esisteva) si accompagnarono misure come la punizione collettiva per i delitti dei singoli e le rappresaglie contro i villaggi“. Dopo questo, ogni commento è superfluo, mi pare. Comunque, a raccontarlo più approfonditamente, saranno i relatori del convegno dal titolo “Mezzogiorno e Unità: una riflessione a 150 anni dalla legge Pica”: G.A. Poli, docente università di Bari; G. D’Andrea, professore; G. Liberati, docente università di Bari; T. Russo, storico dell’istituto per la storia del risorgimento italiano – comitato di Novara; G. Colangelo, consigliere comunale di Avigliano. Si tratta di un incontro dall’alto profilo formativo, organizzato dall’associazione culturale Amici dell’Agrifoglio di Avigliano, che si terrà sabato 28 settembre 2013, alle ore 17.30, a Filiano, presso Palazzo Corbo – Iscalunga. Al tavolo sarà presente il sindaco di Avigliano Vito Summa ed altri politici.




27/09/2013 - autore: Enzo Claps
fonte: LA NUOVA DEL SUD - AVIGLIANONLINE.EU

Back