«CHIUSURE UFFICI POSTALI NESSUN AUTOMATISMO»

Stop del Consiglio di Stato: «Non basta che le sedi siano in perdita»

BARI. La scarsa affluenza di utenti non può essere l’unico criterio in base a cui le Poste decidono di chiudere i piccoli uffici, perché l’azienda - ad oggi interamente pubblica - è tenuta a garantire il cosiddetto servizio universale che si traduce (anche) in un presidio del territorio. Lo dice una sentenza del Consiglio di Stato (786/2014) destinata a pesare su una vertenza che interessa non meno di 600.000 residenti nelle zone meno popolate d’Italia: i massimi giudici amministrativi, nel confermare la decisione con cui il Tar di Basilicata ha impedito la chiusura dell’ufficio di Avigliano, hanno pesantemente bacchettato l’Autorità per le comunicazioni tuttora inadempiente nel fissare quei criteri. Nel 2012 le Poste hanno individuato su tutto il territorio nazionale 1.156 uffici da chiudere e altri 638 da razionalizzare riducendo gli orari di apertura: il piano riguarda in particolare 27 uffici in Puglia (di cui 19 in provincia di Lecce) e 17 in Basilicata (di cui 15 nel Potentino). Nel 2013, a fronte di un nuovo piano, l’Agcom ha avviato un’istr uttoria per valutare i criteri di scelta ma non l’ha ancora conclusa. E così, ci pensano i giudici: «A fronte di situazioni particolari legate alla conformazione geografica dell’area interessata - scrive infatti il Consiglio di Stato -, il criterio dell’economicità non può essere assunto a dato assoluto ed anche le distanze chilometriche debbono essere valutate con estrema attenzione, rifuggendo da qualunque automatismo». L’unica Regione italiana intervenuta nell’istruttoria aperta dall’Autorità è peraltro stata la Puglia, che ha curiosamente rappresentato la stessa posizione oggi accolta dai giudici amministrativi. La tesi pugliese è che il semplice criterio della distanza chilometrica tra gli utenti e gli uffici postali (prevista dal decreto Scajola) non è sufficiente, perché bisogna tenere conto di quei piccoli centri con «servizi pubblici di trasporto e collegamenti insufficienti», e con «preponderanza di popolazione anziana chiaramente in difficoltà negli spostamenti» a cui va garantito un ufficio postale vicino casa. Secondo fonti di Poste, in Puglia e Basilicata il piano delle chiusure è rimasto inattuato a parte 3-4 casi «lucani» tra cui appunto Avigliano Scalo che è stato riaperto dal Tar (seppur per 18 ore su 3 giorni settimanali). Sono invece state effettuate molte delle razionalizzazioni già programmate, ovvero riduzioni di orario che proseguiranno per tutto il 2014: ma non ne sono state previste di nuove. Il Consiglio di Stato ha però lanciato un «altolà»: anche se i piccoli uffici - quelli a rischio - «rappresentano verosimilmente un costo elevato per Poste italiane», il piano di riduzione non può essere attuato «seguendo una logica solamente di tipo economico e senza prevedere valide alternative». Ad esempio, dicono i giudici, consentendo che siano gli stessi portalettere (dotati di appositi palmari) a ritirare plichi e raccomandate ed accettare il pagamento dei bollettini. Oggi il quadro normativo obbliga Poste Italiane ad essere presente nel 96,45% dei Comuni e vieta di chiudere i cosiddetti «uffici unici». Di fronte all’Autorità l’azienda ha però affermato che queste disposizioni sono troppo restrittive e che «spesso finiscono con l’imporre una offerta di servizio sovradimensionata rispetto all’effettiva domanda»: ci sono piccoli uffici in cui vengono effettuate solo 10-15 operazioni postali al giorno. Ma nel confermare la decisione del Tar di Basilicata su Avigliano Scalo, il Consiglio di Stato ha aggiunto un tassello a questo ragionamento affermando che il «disequilibrio economico» delle sedi da chiudere «andrebbe semmai accertato valutando l’intera attività erogata dall’ufficio postale e non il solo servizio universale»: visto che ormai fanno le banche e vendono libri e telefonini, le Poste devono considerare anche il vantaggio economico che ne deriva.
30/05/2014 - autore: Massimiliano Scagliarini
fonte: LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO

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