Vite di avventure, di fede, di passione in cui il filosofo napoletano ricostruisce le biografie di tantissimi personaggi
C’è un libro di don Benedetto Croce che si intitola: Vite di avventure, di fede, di passione in cui il filosofo napoletano ricostruisce le biografie di tantissimi personaggi da Giangaleazzo Caracciolo a Filippo di Fiandra fino alla nostra Isabella Morra. Sotto lo stesso titolo si può raccogliere la vita di Sandro Pertini (1896-1990) del quale il 24 febbraio cade il venticinquesimo della morte. Se non che per raccogliere quella vita occorrono molti volumi. Allora conviene far emergere il filo conduttore che tiene insieme i tantissimi episodi, di cui qui se ne ricordano solo alcuni, dell’esistenza del miglior presidente dell’Italia repubblicana. La passione di Pertini è per la politica alta e nobile. E’ la politica che lo porta, come interventista democratico, sui fronti dell’Isonzo e della Bainsizza durante la prima guerra mondiale. Ed è ancora la politica che lo spinge, nel giugno 1925, con un gruppo di operai ad attaccare sotto il monumento a Mazzini alla fortezza di Savona un cartello con sopra scritto: “Gloria a Giacomo Matteotti”. Sempre la politica lo condurrà poi nelle carceri fasciste di Regina Coeli, di Santo Stefano, di Turi ( dove conoscerà Gramsci), di Pianosa da dove rifiuterà la grazia che la madre aveva chiesto per lui al duce. Da socialista sarà componente del CLNAI, partecipando alla liberazione di Milano e litigando col milanese e tenebroso cardinal Ildefonso Schuster che voleva tenere fuori comunisti e socialisti dalle riunioni che trattavano la resa dei tedeschi. Ancor giovane Pertini fu introdotto al socialismo dal suo professore di filosofia: Adelchi Baratono, figura di alto spessore del socialismo riformista. E’ il socialismo la fede di Pertini. La passione per la politica e la fede nel socialismo costituiscono i due pilastri della sua religione civile. Quelli che lo guideranno come segretario del PSI (1945); come presidente della Camera (1968); infine, presidente della Repubblica (1978-85). Nell’espletamento di queste funzioni istituzionali emergeranno altri aspetti della sua personalità: la coerenza, l’onestà e la tolleranza. Quest’ultima, Pertini la esporrà in maniera forte e compiuta in un famoso discorso ai giovani quando li indicherà come il futuro migliore del Paese-Italia. C’è un altro aspetto di Pertini, uomo profondamente incardinato nel ‘900, che lo fa però personaggio moderno: la comunicazione. Fu un grande e abile comunicatore. Usò il linguaggio del corpo e quello dei sentimenti, della sincerità e della coerenza per parlare al Paese attraverso la televisione. Chi non ricorda la pipa o gli occhiali in mano durante i messaggi di fine d’anno. Entrava nelle case degli italiani e chiedeva loro scusa per il disturbo se stavano brindando, salvo poi a invitarsi pure lui per il brindisi di fine anno. Chi non ricorda l’esultanza ai campionati mondiali in Spagna o il dolore profondo con cui si avvicinò alla bara di Enrico Berlinguer. Seppur tra loro differenti sono questi eventi di massa che allora coinvolsero la maggioranza degli italiani e Pertini ne condivise il significato profondo e li interpretò come in tanti si aspettavano. Gli italiani percepirono la coerenza fra affermazioni e comportamenti quando affermava che esiste un filo rosso tra la pace, la libertà e la giustizia sociale e che queste ultime due sono intimamente connesse. L’una non esiste senza l’altra. Questo è il miglior lascito testamentario di un grande italiano.
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25/02/2015 - autore: Antonio Bochicchio - Vicesindaco di Avigliano |
fonte: LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO |