AMORE CRIMINALE MI CONDIZIONA IL PROCESSO

Vito Sileo, 54enne di Avigliano accusato di violenza e stalking alla moglie, dopo la docufiction ha invocato la «legittima suspicione». La Corte d’Appello ha sospeso tutto e inviato gli atti in Cassazione

POTENZA - Si blocca il processo a carico di Vito Sileo, 54 anni di Avigliano condannato in primo grado a 3 anni e 8 mesi per violenza ai danni della moglie. Una vicenda che aveva destato scalpore al punto di assurgere agli onori della cronaca addirittura con una docufiction girata dalla trasmissione «Amore criminale» condotta da Barbara De Rossi su Raitre e che ora vede proprio nel «battage» mediatico suscitato dalla trasmissione, con ricadute sui giornali locali, su diversi siti internet e nelle tante discussione di lucani sui social media il motivo di uno stop che potrebbe preludere allo spostamento del processo in altra sede. A questo obiettivo, almeno, mira la richiesta presentata direttamente dall’imputato e che la Corte presieduta da Vincenzo Autera ha ora sottoposto alla Corte di Cassazione affinchè ne valuti la fondatezza, sospendendo nelle more il processo. Un passaggio praticamente scontato, l’invio del fascicolo a Roma, in base a quanto previsto dagli art.45 e 47 del Codice di procedura penale, come riformulato dalla legge 248 del 2002, la così detta «Cirami» a fronte di tale tipo di richiesta. E un passaggio che non porta all’imputato, difeso dall’avvocato Gaetano Basile, nessun beneficio: i termini di decorrenza vengono infatti sospesi e anche i termini di custodia cautelare non decorrono più fino al pronunciamento della suprema Corte. Lo spirito della norma è proprio quello di risolvere casi di «legittimo sospetto» da parte di chi è sottoposto a giudizio rispetto al fatto che il verdetto possa essere condizionato da elementi estranei al procedimento stesso. «Quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili - si legge nella norma - pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto, la Corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice». È questo l’effetto prodotto dalla docufiction di Raitre? In attesa che la Cassazione si pronunci si accende il dibattito e se il legale della parte lesa, l’avvocato Cristiana Coviello evidenzia come essendo la trasmissione su un canale nazionale, in via teorica, in tutto il Paese i giudici dovrebbero essere esclusi, dall’altro versante si sottolinea come, sia per l’indubbio interesse al fatto locale, sia per l’eco avuto dalla trasmissione, fin dalla sua realizzazione, su media lucani e tra i lucani in rete, la Basilicata sicuramente è una terra in cui la «docufiction» ha dispiegato effetti ben più forti che altrove. Il caso, insomma, è delicato e destinato, inevitabilmente a segnare un precedente sul rapporto tra i così detti «processi mediatici» e i processi di aula. Il tutto su una questione altrettanto delicata nel merito: un marito accusato di aver violentato la moglie, di averle fatto stalking con 8mila contatti telefonici, di averla minacciata e seguita costringendola a cambiare le abitudini di vita. Un capo di imputazione tale da richiamare l’attenzione anche di una delle trasmissioni nazionali dell’«infotaiment» l’intrattenimento basato sull’informazione. Ma che ora potrebbe riverberarsi sul processo vero e proprio.
15/05/2015 - autore: Redazione
fonte: LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO

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