DA «TUCCIO» DI AVIGLIANO L’INVENTIVA DI LUCIANO CON UN PIZZICO DI FOLLIA

l’imprenditore gastronomico fa parlare di sé per i suoi spot «bizzarri»

Luciano Genovese – alle cronache Tuccio – è uno dei personaggi più noti e controversi nel variegato E contraddittorio panorama lucano. Se è vero che parlare di un ristorante e delle sue bizzarrie private e pubbliche può apparire provinciale, è anche vero che la questione ha spesso aperto dibattiti su temi meno effimeri, quali l’imprendi - toria, la comunicazione e i suoi effetti anomali sulla società e, soprattutto, sul rapporto tra coscienza e incoscienza. Quando si tratta la questione sotto un’ot - tica di indagine e quindi speculativa, ci si ritrova quasi sempre a fare i conti con la sociologia e l’antropologia: e questo è quanto di meno scontato, per un personaggio che ha fatto dell’auto ironia e dello scherzo il suo punto di forza. Luciano investe in gran parte delle sue iniziative imprenditoriali sulla pubblicazione pubblicitaria alternativa. La pubblicità, è risaputo, è l’ anima del commerci, ma quando si imbraccia questo strumento in maniera convenzionale, non si sa mai quanto gli effetti possano tornare funzionali, inespressi o addirittura controproducenti. O comunque, i manuali di marketing insegnano, che è buona norma alternare comunicazioni tradizionali, a quelle più sperimentali. Ma questo non è prerogativa di Tuccio, che sembra spingere sul pedale dell’esa - gerazione senza Remore e timore. Alla domanda del cronista se tutta questa manovra pubblicitaria sia gratificata da risultati commerciali o da mere gratificazioni narcisistiche, lui risponde sorridendo, spiegandoci che, se fosse riuscito nell’intento narcisistico, probabilmente avrebbe qualcuno da portare al cinema la sera, mentre, se fosse riuscito in quello commerciale, avrebbe bilanci in attivo. L’unico vero motivo, ci dice candidamente, è che, in fondo, far parlare di sé, può rivelarsi una bella terapia d’urto contro la solitudine. Personalità come quella di Tuccio, che hanno visto da vicino il mostro della depressione, spesso si traducono in emblemi di copiosa iniziativa, un po’ per esorcizzare le paure, un po’ come unico baluardo di amore verso se stessi. Il mutismo, infine, Lo ha accompagnato per sei anni della sua giovane vita, schizofrenia paranoidea, decretavano i medici, un po’ per velocizzare la diagnosi, un po’ perché un muto per scelta fa più paura di un pazzo: ma lui sapeva tutto; coscientemente si esprimeva in patologia, in follia, e l’unica arma a sua disposizione per combattere le malelingue, era quella di ribaltare la percezione di chi fosse realmente un folle. Tuccio ci dice che dalla malattia si può uscire, ed è uscito, ma che nella follia ci preferisce rimanere.
13/12/2015 - autore: Pino Gentile
fonte: LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO

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