Questi particolari ex voto nel corso dei secoli raggiunsero una pregevole qualità artistica, merito delle botteghe e degli artigiani
(...) Sono i “Cinti” aviglianesi, antica tradizione, presenti oltre che in Basilicata con diverse varianti in tutto Mezzogiorno, chiamati “centi” nel Cilento, “Cicli” in Sicilia, “cigli” nel salernitano. Il primo documento storico è uno schizzo del 1747 conservato all’Archivio Storico di Napoli. I Cinti aviglianesi hanno caratteristiche differenti che li rendono unici: rappresentano santuari e chiese importanti nella storia della devozione e dell’architettura, sono costruiti a mano con candele decorate ed hanno imponenti dimensioni. Questi particolari ex voto nel corso dei secoli, hanno raggiunto un pregevole qualità artistica, merito delle botteghe e le maestranze degli ebanisti e artigiani, specie della fine dell’800, tra cui ricordiamo i Rosiello, Viaggiano, De Carlo e la famiglia Salvatore. L’eredità della scuola artigianale continua con la Famiglia Rizzi, Rocco classe 1930 e oltre sessanta anni di esperienza nell’edificare le piccole chiese di cera e suo figlio Donato. Continuatori di un lavoro certosino, in un’intervista Donato spiegava: «iniziamo il lavoro verso Novembre, scegliendo i modelli perché ogni cinto ha un suo nome e rappresenta una chiesa, simbolo della devozione. Poi s’inizia il lavoro con la progettazione, la decorazione delle candele, le statue di legno con portanti di ferro. Tutto rigorosamente a mano. Anche la scelta dei colori non è lasciata alla casualità. Cerchiamo di riprodurre con il simbolo del colore le caratteristiche dei modelli. Certamente spicca il blu, colore del mantello Mariano». Però, in un determinato periodo storico, i cinti mariani assunsero una diversa configurazione, era il periodo della guerra mondiale, il 1942, un anno tragico, nel gennaio le truppe statunitensi arrivarono in Irlanda, il 20 gennaio alla Conferenza di Wannsee di Berlino fu predisposta la "soluzione finale della questione ebraica", quasi un eufemismo per celare un crimine contro l’umanità. Era l’inizio dell’infamia della Shoah. Per gli italiani, dopo gli effimeri successi in Libia, iniziò il disastro della campagna di Russia, un’armata già aveva seguito l’esercito nazista del 41, ma il 29 aprile 1942 dopo l’incontro tra Hitler e Mussolini a Salisburgo; fu deciso il rafforzamento del contingente italiano inviato in Unione Sovietica . La futura 8ª Armata, circa 250mila soldati, quasi la metà morì in battaglia, o durante la ritirata o nei gulag sovietici. In quell’occasione, i fedeli aviglianesi ordinarono dei cinti particolari per ottenere la protezione e il ritorno dei propri cari in guerra. Quel luglio 1942, proprio il giorno della Madonna del Carmine, il 17 le truppe tedesche della 6. Armee del generale Friedrich Paulus raggiunsero la grande ansa del Don; iniziò la cruenta battaglia di Stalingrado. Sarebbe terminata nel 1943, con la disfatta dei tedeschi e degli italiani. Partecipò anche l’8° Armata. IL fronte orientale dall’operazione Barbarossa fino al 1945 ebbe Oltre 30 milioni di morti tra militari e civili. In quel clima di terrore per la sorte dei propri cari, tra La Russia ed El Alamein e lo sbarco degli Alleati in Sicilia il 10 luglio 1943, i fedeli aviglianesi tra la paura e allo stesso tempo speranza del futuro, le preoccupazioni per coloro che erano partiti sotto le armi, in ogni parte del mondo, spesso senza avere loro notizie, si rivolsero alla Santa patrona per ottenere la protezione e il ritorno dei cari sotto le armi. I cinti in bui anni bellici assunsero forme differenti, da piccole chiese divennero aerei, cingolati, navi a simbolo delle forze armate, dove combattevano i familiari dei devoti. Nel 2009, ebbi notizia di questi particolari cinti da parte di Leonardo Lovallo, era riuscito a trovare una foto dell’epoca con un cinto a forma di carro armato. Ne parlai con un testimone diretto, che li aveva visti- Domenico De Carlo, maestro elementare in pensione, aveva undici anni ed era uno dei tanti ragazzini che dopo la scuola andava a “fare il garzone” in qualche laboratorio artigianale. Era abitudine per “far imparare il mestiere” e “toglierli dalla strada”. Domenico andava dal cugino maggiore , “Ciccio Titlat” , ebanista ed ha partecipato alla costruzione di quel carro armato di candele. « La struttura era di legno” r mi spiegava il maestro De Carlo poi s’inserivano le candele bianche. Tutte le parti, compreso il cingolato, erano ricoperte di candele.” Un lavoro di precisione e maestria, dove ogni particolare era curato, rigorosamente a mano. Compreso anche la decolorazione. “ Tempi lontani e di miseria” scavava nella memoria il maestro “ anche i colori erano preparati da noi garzoni: miscelavamo le terre per dare il colore con le vernici per la lucentezza. Mica c’erano i colori già preparati. E bisognava stare attenti: prima si costruiva il cinto con le candele bianche e poi le decoravamo. Le vernici erano scivolose, bisognava prestare attenzione per non impiastrare il tutto. Non c’erano soldi e certo non si potevano ricomprare candele e terre«. I cinti erano anche l’occasione per mostrare l’abilità delle maestranze, delle botteghe, della propria arte. « Gli artigiani ad Avigliano erano bravi perché conoscevano le tecniche del disegno - mi aggiunse De Carlo - Il comune organizzava corsi di disegno, tenuti da una professoressa toscana la Marchiò, molto brava. Disegno artistico e tecnico, tecniche di pittura, uso dei colori e tanto altro. L’artigiano a quei tempi era completo, questo era il segreto della maestria». Una maestria che raggiunse livelli altissimi. Fra quegli ex voto del 42 vi era uno enorme: La basilica di San Pietro. « Lo ricordo, enorme, pesante con l’Obelisco in mezzo – aggiunse Domenico - tutto con candele, anche il colonnato del Bernini. Era curato in ogni dettaglio.” Peccato che non sono state trovate fotografie di questa spettacolare Basilica in miniatura. I cinti bellici furono costruiti fino al 1943, poi dopo l’armistizio dell’ 8 settembre, cambiò tutto, come ci dice il maestro De Carlo Alla miseria e ristrettezze si unirono anche la paura e la consapevolezza che tutto stava cambiando, ma senza sapere cosa sarebbe successo ». L’unica foto di questi cinti bellici era un carro armato di cera, ricordo di famiglia del professor Filippo Bia e fa parte dell’archivio fotografico di Leonardo Lovallo. Ma a distanza di otto anni, la tenacia di Leonardo Lovallo e la disponibilità del professor Bia hanno permesso di ritrovare le altre fotografie d’epoca, anche i cinti per i militi della marina e dell’aviazione. Uno spaccato di storia , di devozione e tradizione popolare riscoperta dopo oltre sessanta anni. Ora speriamo di ritrovare le testimonianze del gigantesco cinto della basilica di San Pietro, con le candele a far da imitazione al colonnato del Bernini.
|
05/12/2017 - autore: Leonardo Pisani |
fonte: ROMA |