Le testimonianze dei protagonisti della vicenda. «La diperazione non ci lascia».
E' una calda domenica di agosto. Tre giovani, come tanti altri coetanei nelle belle giornate estive, scorazzano a bordo dei loro motorini. Rocco, che avrebbe compiuto 17 anni dopo soli 20 giorni, è coinvolto in un incidente con un altro scooter con a bordo due suoi coetanei, due suoi amici, e dopo una settimana di coma muore. È il 5 agosto del 1990 e la strada che si macchia di sangue è quella tra Stagliuozzo e Montemarcone, due frazioni di Avigliano. A ritornare con la memoria a quel tragico giorno di 19 anni fa è la signora Domenica Maria Bochicchio, madre di Rocco Mecca, il ragazzo che ha perso la vita in quell'incidente, in occasione della sentenza della Terza sezione civile della Cassazione, che ha stabilito un risarcimento danni nei confronti della famiglia da parte dei genitori di Vito Nardozza, il ragazzo alla guida dell’altro motorino. La sentenza, che farà scuola inchiodando pesantemente i genitori alle loro responsabilità educative e alla vigilanza nei confronti dei figli, stabilisce che se il minore coinvolto in un incidente stradale col proprio motorino non porta il casco al momento del fatto, ciò può essere una prova che i genitori del ragazzo non hanno adempiuto in modo sufficiente «all’obbligo di una corretta educazione». Vito, al momento dell’incidente, non portava il casco, appunto, è ciò è bastato ai giudici per desumere che i genitori non avevano «impartito al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini e alla sua personalità ». I genitori di Vito, in questi lunghi anni del processo, hanno cercato di dimostrare che il ragazzo era abbastanza maturo, tanto da avere anche un lavoretto in una carrozzeria, ma non è bastato. «Rocco - racconta la signora Domenica Maria con la voce rotta dal pianto - stava tornando a casa quando gli è stata tagliata la strada. È caduto dal motorino battendo la testa, poi si è rialzato da solo. È stato soccorso da un mio cugino che passava casualmente di lì con la macchina e portato da lui immediatamente in ospedale, ma all’altezza di Tiera già non parlava più. Dal San Carlo l’hanno trasferito subito a Napoli, ma non c'era già più niente da fare: è rimasto in coma fino al 12 agosto. Poi ci ha lasciati per sempre». Siete soddisfatti della sentenza? « Anch’io sono una mamma e so che sarebbe potuto succedere anche a mio figlio. Se solo avessimo sentito la vicinanza dei Nardozza, se si fossero presentati a casa mia per sapere come stavamo, non saremmo mai arrivati a questo punto. Siamo stati noi a chiedere, nell’imminenza dei fatti, come stavano loro, come stava Vito, ma ci hanno ricambiati con l’indifferenza». Perché è importante questo risarcimento? «Penso che loro non abbiano “capito” davvero quello che è successo. I soldi non ci ridaranno nostro figlio, non potranno rimborsare il nostro immenso dolore, ma forse faranno capire quanto male ci hanno fatto, soprattutto con il loro disinteresse, con il loro distacco». Di iniquità, dal suo canto, parla Vito, l’altro giovane protagonista della vicenda. «Non è ingiusta solo questa sentenza - dice -, ma è ingiusto che si sia proprio arrivati a questo punto. C'è stato un incidente sulla strada; Rocco, che era un mio amico, ha avuto la peggio, ma anche io e l’altro ragazzo che era dietro di me abbiamo rischiato di morire. Non c'è stato dolo, né tantomeno io ricordo le modalità dello scontro. Al momento dell’impatto eravamo presenti solo lui e noi, che, a causa del trauma cranico e dello choc, non ricordavamo né i minuti precedenti né quelli immediatamente successivi l’impatto. Anche quando i carabinieri ci hanno chiesto di deporre la nostra testimonianza abbiamo detto che non riuscivamo a fare una ricostruzione: se fossimo stati in cattiva fede o più smaliziati avremmo raccontato che l’altro motorino ci era venuto addosso. Ma Rocco era un nostro amico». Cosa pensa della sentenza? «Hanno voluto attaccare me e la mia famiglia, infierire su di noi. Sulla strada gli incidenti possono succedere ed io non ero un ragazzo indisciplinato, uno spericolato centauro. Capiamo il loro dolore, ma non possiamo tornare indietro e ridargli loro figlio». Sono stati tacciati di indolenza nei confronti della famiglia Mecca: «Io personalmente sono andato a casa di Rocco per porgere le mie condoglianze e i miei genitori si sono offerti di dare un sostegno economico per le spese che hanno dovuto sostenere per i funerali: siamo famiglie umili, viviamo del nostro lavoro. Ma loro hanno rifiutato. Poi i miei genitori hanno pensato che la loro presenza avrebbe potuto ogni volta far riaffiorare ancora di più i loro ricordi e acuire il loro dolore».
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24/04/2009 - autore: Sandra Guglielmi |
fonte: LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO |