E LA «NAZIONE AVIGLIANESE» DIFENDE IL SUO DIALETTO

L'idioma locale è rimasto ancorato al territorio. «E' parte del nostro vivere».

Il dialetto di quella che i sociologi definiscono la "Nazione aviglianese", nonostante l'usura del tempo e l'onda travolgente della globalizzazione, è rimasto ancorato al territorio e alla sua gente, anche se con il trascorrere degli anni si è avvalso di prestiti di altre lingue e comunità, non perdendo il carattere diacronico di qualunque forma di comunicazione. Il vernacolo aviglianese, basato su un substrato indo-europeo arricchito dall'apporto ausonio-enotrio, oscosabellico e latino, è un dialetto aspro nel suono ed icastico e lapidario nello stile, ancorato alla concretezza, nel quale, ad esempio la maggior parte dei sentimenti sono espressi usando il termine cuore, un organo e quindi materiale di per sé, più un aggettivo (cor 'ngann, cor 'mpizz, cor tuost) e non esiste il tempo futuro, ma vari tipi di passato (per l'immediatezza nel passato c'è un tempo che ricorda l'aoristo degli antichi greci), perché nella mentalità contadina l'importanza primaria è assunta dal passato e dal presente. Ma quanto si parla ancora il dialetto ad Avigliano e come viene vissuto dalla gente l'idioma volgare? «Nell'aviglianese - dice Pasquale Pace - il dialetto è sentito come cultura e vissuto come identità da preservare, sulla quale investire. Testimonianza di ciò il fatto che esso è parlato indistintamente tra i non scolarizzati ed i laureati e molte sono le pubblicazioni in lingua aviglianese che continuano ad essere scritte, anche dai più giovani». «Il dialetto è memoria che non va dimenticata - dice Donato Imbrenda - e la maggior parte delle persone di una certa età continua a custodire l'importante patrimonio linguistico aviglianese, nonostante nelle famiglie ormai si parli prevalentemente l'italiano e il dialetto conosciuto dai più giovani si è molto italianizzato, mentre la parlata stretta è rimasta, paradossalmente, patrimonio dei tanti emigranti». La fiera appartenenza al popolo aviglianese, alla sua cultura e alla sua lingua emerge anche dalle asserzioni delle giovani generazioni su una lingua che nessuno, pare, voglia relegare al passato. «Il dialetto è parte del nostro vivere quotidiano - asserisce Antonio Mattia - e non credo che chi lo parli possa essere tacciato d'ignoranza. Soffermiamoci su una riflessione: l'italiano cos' è se non una derivazione del dialetto fiorentino?». Sulla stessa linea d'onda anche Stefania Guglielmi, per la quale «l'dioma dialettale non deve essere collocato in una posizione di inferiorità, ma deve essere condiderato una sorta di "lingua altra", che preserva la storia e la cultura di un popolo». E' difficile trovare qualche aviglianese che non parla affatto il dialetto e a confermare l'utilizzo in determinate situazioni del vernacolo anche Dina Nella. «In famiglia e con gli amici spesso utilizziamo espressioni in dialetto, lingua della nostra storia ed identità, mentre l'italiano è utilizzato in contesti più formali». «Il dialetto - secondo Ilenia Lovallo - ha un valore sociale e culturale altissimo e fa parte della storia di tutti noi. Inoltre, avete mai provato a scervellarvi per trovare un termine italiano che renda l'idea di un'espressione dialettale? Non sempre ci si riesce».
29/01/2010 - autore: Sandra Guglielmi
fonte: LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO

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