La tradizione aviglianese dei Cinti
Chiunque assista alla processione, che il 16 Luglio si avvia da Avigliano verso il Santuario Mariano del Monte Carmine, è colpito da enormi ex Voto portati a spalla dai devoti. Sono i “Cinti” aviglianesi, antica tradizione , presenti con varianti nel Mezzogiorno, chiamati “centi” nel Cilento, “Cicli” in Sicilia, “cigli” nel salernitano. Il primo documento storico è uno schizzo del 1747 conservato all’Archivio Storico di Napoli. I Cinti aviglianesi hanno caratteristiche differenti che li rendono unici: rappresentano Santuari e Chiese importanti, sono costruiti a mano con candele decorate ed hanno imponenti dimensioni. Questi particolari ex voto nel corso dei secoli, hanno raggiunto un pregevole qualità artistica , merito delle botteghe e le maestranze degli ebanisti ed artigiani, specie della fine dell’800, tra cui ricordiamo i Rosiello, Viaggiano, De Carlo e la famiglia Salvatore. L’eredità della scuola artigianale continua con la Famiglia Rizzi, Rocco classe 1930 e 60 anni di esperienza nell’edificare le piccole chiese di cera e suo figlio Donato. Continuatori di un lavoro certosino, spiega Donato: “Iniziamo il lavoro verso Novembre, scegliendo i modelli perché ogni cinto ha un suo nome e rappresenta una chiesa, simbolo della devozione. Poi si inizia il lavoro con la progettazione, la decorazione delle candele, le statue di legno con portanti di ferro. Tutto rigorosamente a mano. Anche la scelta dei colori non è lasciata alla casualità. Cerchiamo di riprodurre con il simbolo del colore le caratteristiche dei modelli. Certamente spicca il blu, colore del mantello Mariano.”. Rocco è un’enciclopedia vivente di questa tradizione. Ha iniziato giovanissimo nel dopoguerra e racconta, scavando nei ricordi di infanzia, che nel periodo del conflitto i cinti continuavano ad essere costruiti, anche se mancava tutto, l’ingegnosità delle maestranze era capace di usare ogni materiale anche poverissimo come fasci di grano, pezzi di stoffa, la poca carta esistente. Questi particolari ex voto, pur affondano le radici in secoli passati, si sono adeguati ai tempi: una tradizione che rinnova nella tecnica e nel simbolismo della fede. Nel periodo successivo al conflitto mondiale ebbero una forma particolare. I devoti che chiesero la costruzione erano i reduci e le loro famiglie, che volevano ringraziare la Madonna del Carmine del ritorno dei loro cari. I cinti assunsero le forme di aerei, navi, blindati e veicoli bellici, per rappresentare i corpi di armata nei quali avevano combattuto: esercito, marina e aeronautica. I Rizzi stessi hanno innovato il lavoro: dal 1997 questi gioielli artigianali hanno assunto sempre dimensioni maggiori, hanno ampliato la gamma dei colori e le candele sono anche decorate con nastri acetati oltre alle classiche decorazioni a mano. Sono ex voto densi di richiamo simbolici: i nastri con cui i fedeli scortano sono il legame che li lega al sacro, il legno rappresenta la Croce, le candele la luce della fede che illumina, il blu il culto mariano, la salita faticosa lungo le pendici del Monte Carmine quasi una catarsi, un’espiazione dal peccato.“ la tradizione del cinto è un puro ex voto da parte dei fedeli” spiega Donato Rizzi “ infatti, sono richiesti da coloro che vogliono ringraziare e chiedere una grazia alla Madonna del Carmine. Insomma una richiesta da parte di privati cittadini senza nessun patrocinio pubblico o sovvenzione di istituzioni o enti pubblici e privati. Una tradizione popolare e artigianale unica che sopravvive solo grazie alla religiosità popolare.”.
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16/07/2009 - autore: Leonardo Pisani |
fonte: LA NUOVA DEL SUD |