I LUCANI NELLA RESISTENZA PIEMONTESE
Domenica 16 giugno nel torinese Teatro Carignano, affollato in ogni ordine di posti, si è tenuta una iniziativa che voleva essere di natura storica ma poi la politica se n’è impossessata e l’ha fatta da padrone. Titolo accattivante: Meridionali e Resistenza. Il contributo del Sud alla lotta di Liberazione del Piemonte 1943-1945; identico quello del volumetto ( a c. di C. Della Valle, presidente dell’Istit. Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “ Giorgio Agosti”, maggio 2013, pp. 5-135 senza l’indicazione del tip.-stampatore). Ai saluti di Fassino, Saitta e Novelli, hanno fatto seguito gli interventi di maniera e grondanti fastidiosa retorica dei presidenti delle regioni meridionali ( di Santochirico era su Basilicata.net il suo pezzo mentre parlava: potenza dell’ubiquità !!!!).
In sala si sono visti pochissimi storici di mestiere. Di altri giovani studiosi si sono osservate le reazioni. I piemontesi si sa sono formali e cortesi cosicché quando parlavano i politici gli studiosi ammicavano, si davano gomitatine quasi a chiedersi: ma quello che dice ? Queste reazioni fanno emergere sempre un nervo scoperto dei nostri tempi: l’uso pubblico ( e politico ) della storia. Roberto Placido, lucano e vicepres. del Cons. Reg. del Piemonte, di sicuro il politico più brillante tra quelli presenti in teatro, quando si è infilato sul terreno storico è scivolato pure lui sull’uso di Clio. Nella sua paginetta introduttiva sostiene: a) che questo evento è idealmente da considerarsi il prosieguo delle grandi manifestazioni ( tipo quelle delle OGR: Officine Grandi Riparazioni, curate da G. De Luna e S. Soldani, altra cosa però, eh ! ) del 150° dell’Unità; b) che la Resistenza è da considerarsi un po’ il secondo Risorgimento ( vecchia tesi cara all’ANPI e a certa storiografia ex PCI); c) che le iniziative per l’Unità svoltesi in Piemonte “ hanno ridato spinta ad una riflessione sul complesso rapporto nord sud che ha caratterizzato la storia del nostro paese”. In questa posizione teorica di Placido, che acquista carattere di ufficialità in quanto a parlare non è il lucano ma l ‘alto rappresentante istituzionale, c’è quanto basta per tenere lontano moltissimi contemporaneisti, ossia gli accademici che insegnano storia contemporanea. E infatti: il rischio della retorica è dietro l’angolo. I politici meridionali culturalmente più spudorati e senza scrupoli non tarderanno a impadronirsi e a baloccarsi con questo nuovo giocattolino come hanno fatto per il 150°. La Resistenza come secondo Risorgimento li farà rientrare in gioco visto che il fenomeno resistenziale nel Sud, se mai è esistito, non ha avuto la dimensione e la natura di quello del centro-nord. Placido avrebbe fatto bene a ricordare che nel 2015 saranno passati 70 anni da quel 25 Aprile 1945 piuttosto che girare intorno con il lanternino. Si ricordi la valanga di improperi che ANPI e PCI scatenarono addosso a Claudio Pavone ( uno storico non di destra) quando nel 1991 uscì quello straordinario libro: Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza (Bollati Boringhieri). Nel contesto argomentativo l’A. sviluppò la tesi delle tre guerre: patriottica, civile e di classe, in cui la seconda emergeva ed emerge sulle altre due e la moralità ( non la morale che è un dato di coscienza soggettivo) diventa “ parola particolarmente adatta a disegnare il territorio sul quale s’incontrano e si scontrano la politica e la morale, rinviando alla storia come possibile misura comune”. In estrema sintesi fu la moralità a base della scelta (che poi diventa scelta morale con la mediazione degli eventi e del corso della storia) degli italiani tra il 1943 e il ’45 di stare di qua o di là, in ogni caso di non stare “ nella casa in collina” a osservare dalla finestra lo svolgersi degli avvenimenti ( anche se quella a suo modo fu pure una scelta ma senza la moralità) . Infine. Placido fa riferimento alle due parti del Paese, e dimentica, forse, che le parole: Mezzogiorno e Risorgimento sono due categorie storiografiche ancor oggi fortemente divisive. Ma tant’è. La tesi della pacificazione sempre risorgente, tra i politici, è dura da elaborare per chi possiede spirito critico e non ha voglia di appiattirsi.
E veniamo ora alla parte del bel libriccino che riguarda la Basilicata. I resistenti lucani furono 211. Solo per 117 di essi si hanno notizie certe di militanza in ben determinate formazioni partigiane: 30 appartennero alle brigate garibaldine; 10 a Giustizia e Libertà; 6 alle Matteotti e via via le altre. Un piccolo ma bel ricordo con foto ( p. 36) è dedicato al rionerese Pasquale Preziuso. Partigiano della III Divisione autonoma Langhe, morì in combattimento a Valdivilla, fraz di S. Stefano Belbo, ( il paese di Pavese), il 24.2.1945. il suo comandante era Pietro Balbo (nome di battaglia Poli) che ispirò il protagonista del libro di Beppe Fenoglio: Il partigiano Johnny. Dei lucani ne morirono 17 ( 5 materani e 12 potentini). Fra i curiosi nomi di battaglia se ne ricordano alcuni: Montemurro Nicola ( Fradiavolo), Cassotta Aldo ( KidliK), Cataldo Antonio (Carestia), Cefola Canio ( Dartagnan), Andretta Michele ( Giarabub), e poi nomi geografici: Tito, Melfi, Potenza, Matera, di fiumi e propri.
Chiedere ai contemporaneisti lucani di lavorarci sopra è impresa ardua. Che i politici nostrani s’impadroniscano di questi nomi per trasformarli in giocattolini a cui attaccarsi e trastullarsi fa venire in mente un vecchio adagio di Andreotti: pensare male si fa peccato ma s’indovina. Se poi l’ANPI lucana ( si parva licet componere magnis) segue l’indicazione storiografica di Placido finirà con l’infilarsi in un vicolo cieco. L’unica speranza sono gli archivi di Stato, ma con le loro forze e risorse avranno voglia di farsi carico di un lavoro storico così meticoloso e delicato ?
Data pubblicazione 30/06/2013