UN’AUTO RIAPRE IL GIALLO DI VIA CAIROLI
AV I G L I A N O. Una Opel Calibra color canna di fucile con un pupazzetto ben visibile oltre il lunotto era parcheggiata fuori posto a due passi dall’abitazione di Annamaria Mecca, pensionata 72enne uccisa con undici coltellate nella sua abitazione di via Cairoli ad Avigliano esattamente 19 anni fa. «Era il giorno dell’omicidio, lo ricordo bene », conferma Vincenzo Sileo (nella foto a destra), agente della polizia penitenziaria che abita dalle parti di via Cairoli. Se quell’Opel Calibra parcheggiata in malo modo nelle vicinanze della scena del crimine sia stata usata da qualcuno che ha avuto un ruolo nel delitto non è mai stato accertato dall’inchiesta giudiziaria. «A me - sostiene Sileo - diede l’impressione di una macchina messa lì in modo tale da poter partire senza intralci». All’epoca Sileo lo riferì ai carabinieri. E durante il processo (che subì ingiustamente un uomo di Avigliano, poi scagionato dall’esame del Dna e assolto dalla Corte d’assise) la circostanza dell’auto fu parzialmente approfondita perché era dello stesso modello di quella di un nipote della vittima. Al processo fu ritenuta una pista superata, perché quel nipote aveva un alibi. Ma di chi era quell’Opel Calibra? Il proprietario - o chi l’ha usata quel giorno - non è stato individuato. Quella dell’auto, però, non è l’unica zona d’ombra dell’inchiesta. Manca l’arma del delitto: probabilmente un coltello da cucina che non è stato trovato. Non c’è un movente: la pensionata non possedeva gioielli né oro e tutti i risparmi li aveva depositati su alcuni libretti postali intestati a due nipoti. Tracce importanti furono tralasciate dagli investigatori: ci fu una telefonata anonima. «Risposi io», conferma Carmela Mecca, la nipote che quel giorno fece la macabra scoperta e chiamò i soccorsi. L’anonimo suggeriva di indagare su un vedovo del paese. Gli investigatori fecero qualche domanda in giro ed esclusero la pista. Ma i tabulati telefonici della signora Carmela non furono mai richiesti. E così non sarà più possibile risalire all’autore di quella telefonata. Qualche possibilità, invece, potrebbe esserci ancora per le impronte telefoniche sul telefono che c’era a casa della vittima. «Quel giorno risultava occupato», svela oggi la signora Carmela (particolare mai emerso durante le indagini). «Arrivata lì - aggiunge la donna - mi accorsi che era fuori posto». Carmela pensò che la zia avesse avuto un malore e da quel telefono - emerge dagli atti dell’inchie - sta - chiamò sua cognata. Oggi - a distanza di 19 anni - ricorda di aver chiamato la madre e un fratello. Ma chi, oltre a lei, toccò quel telefono? Chi lo lasciò fuori posto? È da questi interrogativi che, dopo 19 anni, potrebbe ripartire l’inchiesta.