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22/10/2013
DA 19 ANNI IL DELITTO È SENZA UN COLPEVOLE
Particolari misteriosi e piste inesplorate hanno reso il caso molto ingarbugliato
 
Era il 22 ottobre 1994 quando Avigliano veniva sconvolta dall’ef ferato omicidio della 72enne Annamaria Mecca, una donna mite e riservata. Oggi, a esattamente 19 anni di distanza, il caso è ancora irrisolto e l’anziana signora Mecca ancora attende giustizia. Le indagini, sin dalle prime mosse, presero un binario sbagliato e l’unico indiziato finito alla sbarra si è rivelato del tutto estraneo all’assassinio, scagionato senza ombra di dubbio dall’esame del dna. I rilievi della scientifica nelle ore successive al ritrovamento del cadavere, infatti, avevano portato alla luce nell’ap - partamento diverse tracce di sangue non appartenenti alla vittima. Sono servite a scagionare l’unico imputato, un vicino di casa della donna, e anche un 33enne tunisino, Ben Mohamed Ezzedine Sebaii, arrestato con l’accusa di essere l’autore di una serie di rapine con omicidio a danni di vecchiette avvenute lungo il confine tra Basilicata e Puglia, ma non sono servite a far luce sul cold case aviglianese. C’era un tempo da cani, ricordano vari testimoni, quel tragico sabato. Una pioggia scrosciante, lampi, tuoni, nebbia e vento. Intorno alle 16 arriva ai carabinieri una telefonata: è un barista che comunica ai militari di aver ricevuto una telefonata dalla moglie sul ritrovamento del corpo senza vita di una vicina di casa. Dopo una decina di minuti arrivano in via Cairoli - nel piccolo appartamento del centro storico dove la donna, vedova e senza figli, viveva - e trovano ad attenderli tre donne, una delle
quali è la nipote della vittima, colei che ha scoperto l’omicidio. Carmela Mecca, figlia del fratello dell’anziana, si era recata a casa della zia intorno alle 15,50 per una commissione. Aveva trovato la porta socchiusa.L’aveva chiamata, si era affacciata all’ingresso delle stanze. Poi aveva notato una tenda riversa a terra in cucina (che fu dimostrato non appartenesse alla vittima). Il cadavere di Annamaria Mecca era al centro della stanza adibita a cucina con il capo rivolto in direzione della camera da letto, in posizione bocconi. L’autop - sia accertò che l’ora della morte doveva essere nel primissimo pomeriggio ed
era stata causata da undici ferite da arma da taglio; c’erano anche multiple fratture costali. L’assassino, che per infliggere le coltellate che hanno segato i polmoni in vari punti, si era poggiato sul dorso della donna già a terra, probabilmente caduta in seguito a una colluttazione che ha rotto persino il pesante scuro di legno della porta. Nell’ap - partamento di via Cairoli, dalle verifiche che seguirono, nulla pareva fuori posto. C’era solo la tavola ancora apparecchiata con i pochi resti del pranzo con al centro un bottiglione, vuoto, di due litri di vino, acquistato in un negozietto di alimentari la stessa mattina
del delitto. Accanto un bicchiere, ancora pieno. Proprio attorno a questo particolare si costruì un’ipotesi accusatoria. Gli inquirenti, infatti, individuarono un unico sospettato, un amico del defunto marito della vittima che era solito andarla a trovare e che durante le visite beveva sempre del vino che la donna gli offriva. Quando già si era giunti alla fase del processo fu la prova del Dna a togliere ogni dubbio e portare ad un verdetto di assoluzione che, alla fine, era stato chiesto anche dallo stesso pm Felicia Genovese. L’omicidio di Anna Maria Mecca, ancora senza un colpevole, presenta diversi
aspetti oscuri e mai chiariti. Uno di questi occupa un intero capitolo della sentenza di assoluzione del 1999 dell’unico imputato, il vicino di casa della donna, assolto grazie al suo genotipo non coincidente con quello trovato a casa della vittima. La corte d’as - sise, dichiarando l’uomo innocente, asserì che «le ragioni stesse dell’incrimi - nazione si fondarono su labilissimi sospetti radicati in situazioni di fatto e comportamentali “lette” con una qualche durezza. La frequentazione della casa della povera Mecca da parte del vicino, la consuetudine di bere un po’ di vino in compagnia, i sospetti da parte del nipote Leonardo Mecca radicati nel comportamento dell’uomo poco dopo il delitto, sono – tutte – circostanze di scarsissimo rilievo anche solo indiziario. Gli approfondimenti medico-legali compiuti a dibattimento hanno risolto definitivamente ogni possibilità di dubbio. Altre piste, delle quali qualche traccia affiora dall’istruttoria dibattimentale, non sembrano state compiutamente esplorate». «Il dibattimento – si legge nel capitolo precedente le conclusioni processuali – ha offerto, sia pure incidentalmente, un tema di riflessione per alcuni aspetti singolare. Fu Leonardo Mecca, nipote della vittima, il primo a segnalare alcuni comportamenti dell’imputato appena scoperto il delitto; e a manifestare esplicitamente qualche sospetto sul vicino di casa della vittima per essersi costui immediatamente “g i u s t i f i c at o ” con lui e con altri («non c’entro con il delitto, ero in campagna, da mio fratello»). Questo non è bastato a evitargli il processo.
 
Sandra Guglielmi
fonte LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
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