È PARTITA LA CAMPAGNA ELETTORALE PER SCEGLIERE IL NUOVO SINDACO DI AVIGLIANO
Non c’è aviglianese che non conosca la piazza principale del paese. Per tutti è piazza Emanuele Gianturco. E' la piazza dove una volta c’era il Municipio, dove le sezioni del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana erano dirimpettaie. Era la piazza delle adunate e dei comizi, quando le ideologie erano certe, i partiti erano di massa e i leader riuscivano a chiamare all'appello migliaia di persone. Adesso si riempie soltanto per le feste di San Vito e della Madonna del Carmine, per divertirsi ascoltando il cantante di turno, sotto il cielo colorato dai fuochi di artificio. C’erano i comizi annunciati con il megafono della DC di Colombo, Verrastro, Coviello, Mancusi, Tripaldi per citarne alcuni, accompagnati dal canto di “Bianco Fiore”, cui prontamente rispondevano i megafoni del PCI di Nitti, Calice, Napolitano, Claps, Summa, Rosa, Mancusi sempre per citarne alcuni, accompagnati dal canto di “Bandiera Rossa”. Ogni volta che c’era una campagna elettorale era il "sensazionale avvenimento" con la massa degli aviglianesi che seguiva il comizio del proprio partito sotto il palco e gli antagonisti a borbottare ai bordi della piazza e viceversa. Era l’unica volta che un politico oratore, per via della posizione logistica del palco era costretto a dare le spalle al monumento di Emanuele Gianturco. Oggi tutto questo è solo storia, i politicanti del momento la gente la riunisce nei ristoranti dietro una tavola imbandita, al massimo strategicamente in locali chiusi e si affidano, nell’era dei social anche ad una “app” che può cambiare, o quantomeno allargare, il modo di comunicare. Novità unica nel suo genere, che alcuni candidati stanno adottando come ultima trovata, oltre a facebook e twitter e a tanti strafalcioni. Che cos’è, in fin dei conti, ricordare i comizi di un tempo? Si trova il necessario per distillarne l’essenza della politica e delle ideologie politiche. Contemplare sentimenti di un epoca politica di una città forse mai esistita e che comunque, qui mi rivolgo ai giovani, non è necessario aver vissuto, un’“età dell’ideologia” da cui ci separa la cesura di un trauma storico, di un lutto irreparabile. Ed è una nostalgia creata per dimenticare, che nasce dai media e si alimenta da internet, che rimanda non tanto alla realtà di una stagione trascorsa quanto alle mille immagini che ne evocano l’ideologia politica al servizio della gente. Nella affollata kermesse per le elezioni comunali (attivata anche la macchina del fango bugiarda), con il desiderio di essere diverso dall’omologazione, non c’è modo migliore per ricordare ai politici la vera essenza di un comizio in piazza, e lo faccio prendendo in prestito un incipit del grande comunista Pietro Ingrao: "Tu sali sul palco, hai dinnanzi, come ce le ho avute, piazze piene di gente. È un po' una sceneggiata, un atto teatrale: i saluti, la presentazione, gli evviva, le bandiere. Tutto questo, però, è come l'involucro. Poi comincia una cosa molto più difficile e profonda: tu che stai là sopra riuscirai a comunicare veramente? Lo scopri solo se c'è un momento, del comizio, del tuo discorso, in cui senti che ti puoi fermare, senza nemmeno finire la frase. Ti fermi e ti accorgi che la piazza non si muove perché aspetta il seguito della tua frase. Se in quel momento ti accorgi che ti puoi fermare, bere un bicchiere d'acqua, soffiarti il naso o non fare nulla, e la piazza sta ferma a sentire, allora vuol dire che si è creato un filo, una comunicazione, un legame, tanto forte quanto impalpabile, tra te e le persone". Lui parlava davvero alla gente, cercava di provocare reazioni, idee, comprensione, non pensava semplicemente a catturare consensi. Il populismo è quando il senso comune detta la linea. Ingrao, no: coi suoi comizi era lui a dettare la linea, non c’era cesura tra pensiero e retorica. Quel filo lungo, forte e resistente come il timbro della sua voce, non si è mai spezzato e continua ancora oggi che ha 100 anni. I politici di oggi i loro comizi li tengono seduti a una tavola imbandita di cibo e con self di gruppo, per accaparrarsi il voto che gli serve, fregandosene in fondo delle sorti della gente comune.