DALL’ITALICUM AL REDDITO MINIMO SPERANZA SPIEGA LA SUA IDEA DI PD
Dalle dimissioni da capogruppo alla Camera, Roberto Speranza parla per la prima volta in pubblico ai lucani e lo fa in occasione dell’apertura della campagna elettorale del Centrosinistra per Avigliano, la lista capeggiata dal sindaco uscente Vito Summa. «Mi avete visto spesso ultimamente – esordisce – nei salotti televisivi. Negli ultimi tempi la politica si fa, forse, troppo in tv. Sicuramente il piccolo schermo è importante per far passare i messaggi alla gente, ma la vera politica è quella fatta nel tentativo di costruire nelle comunità, anche piccole, una realtà migliore. La politica deve mettere in campo le proprie idee e i volti di tanti uomini e donne che, con tenacia, nonostante le complessità in un momento difficilissimo, provano a trovare risposte, senza promettere l’impossibile». È un fiume in piena Speranza nel tentare di spiegare alla gente la difficile scelta che ha dovuto affrontare dimettendosi da capogruppo per profondi dissensi con Matteo Renzi sull’Italicum. Divergenze che col passare dei giorni stanno delineando attorno a Speranza la figura antirenziana interna al Pd capace di ridar vigore all’anima di sinistra del partito. «Le idee – afferma – vengono prima delle poltrone. A chi mi dice che la priorità del Paese non è la legge elettorale, che non si mangia la legge elettorale, io dico che è vero. Ma spiego pure che l’Italicum mina la base della democrazia, impedendo ai cittadini di avere la possibilità di scegliere coloro che li devono rappresentare. E a chi mi chiede perché ora e non con il Job acts, ad esempio, spiego che sul mercato del lavoro sentivo la necessità di un cambiamento e che lì è stata possibile una mediazione sul reintegro. La legge elettorale è stata invece blindata da Renzi. Le riforme, come quella della scuola vanno fatte e non frenate. Ma vanno fatte discutendo e trovando consensi». Poi parla del suo tweet sul reddito minimo: «È necessario aprire subito un tavolo sul reddito minimo. Sulla lotta alla povertà contano i fatti, non servono bandiere di parte. Stiamo attraversando, da ben 7 anni, una crisi tremenda. La politica non ha la bacchetta magica ma deve sforzarsi di trovare soluzioni. È necessario introdurre un nuovo modello di welfare, che dia risorse a quei cittadini ormai stremati, provando a ripartire da chi rischia di diventare l’epicentro della rottura tra la società civile e la politica, rimettendo al centro i troppi che stanno male. Dopo gli 80 euro in favore del ceto medio basso e gli sgravi Irap per le imprese, il Pd deve pensare a chi un reddito non ce l’ha». Quindi, un accenno a Civati. «L’uscita dal partito di chi ha avuto alle primarie il sostegno di 400.000 persone è sicuramente preoccupante ed è una decisione che non può essere liquidata con un’alzata di spalle. Io, nonostante il dissenso voglio continuare a stare nel Pd. Continuerò a lavorare perché il partito resti un partito di centrosinistra, cercando di costruire un punto di vista alternativo a Renzi». «C’è bisogno – conclude – per dare risposte vere all’inquietudine della gente, di una forte spinta dal basso. Il cambiamento è una parola forte e significativa, spesso abusata, che rischia d’essere inflazionata. Ma il cambiamento si può fare davvero solo se ognuno parte da se stesso. La buona politica, quella fatta dalle persone perbene, può esistere, ma per esistere deve vincere. E nessuno può farcela da solo. Né Renzi, né un presidente della regione né un sindaco. Oggi chi si candida mettendoci la faccia e l’impegno è un eroe. Ma serve il sostegno di tutti».