L'ELOGIO DEGLI AVIGLIANESI DELLA POETESSA ED INTELLETTUALE BEATRICE VIGGIANI
Insomma i cusci avigilanesi popolarono zone disabitate o quasi e con il sudore, la testardagine, l’abilità dissodarono terreni incolti così lontani dalla “Terra” – così è chiamata l’ancestrale Avigliano e non la Capitale, che è un uso folkloristico – ma mantenendo usi e costumi e spesso dialetto, quella “nazione Aviglianese” che poi trova poi la sua sintesi e la sua unione sul “Monte Carmine”, con la festa “r La Marronna” ed i suoi “cinti”. I Cusci sono stati l’Università della colta Beatrice Viggiani, che aggiungere? Per me una lezione di vita da parte di una intellettuale raffinata ed allo stesso tempo umile;una qualità difficile ad avere e lo scrivo con autocritica.
Sul resto che dire? Nulla , per non cadere nella cattiva retorica lasciamo alla parola alla poetessa Viggiani con una lirica del libro 53 scritto assieme a Vito Riviello.
Lontana come san Cataldo
dalla storia
oggi è solo la luna
che schiara le notti all’altopiano
e non porta fortuna.
Noi siamo aviglianesi senza patria
alle sorgenti che odorano di zolfo
un santo ci protegge la miseria
per la festa di agosto,
Ogni tanto arriva un forestiero
a spiegarci che il tempo è cambiato,
ma un giorno il principe muore
e il feudo viene espropriato.
Ci fanno due lunghe strade
per paesi che non conosciamo
ma poi con l’asfalto
ci legano al ventre della madre
Avigliano.
Questa è una strada
che le gambe fanno col cuore,
ci andiamo a comprare la vita
due volte l’anno,
è amore.
Forse dovremmo fuggire
lepri dietro a una stella
per queste strade nere
dove alle svolte incrociano
gli asini
le chiacchiere delle fattucchiere.
Forse non moriremo
se siamo vivi dopo mille anni
gli embrici hanno sostituito il fango
sui tetti dei capanni.
Beatrice Viggiani
articolo di Leonardo Pisani