QUANDO HEMINGWAY VENNE IN BASILICATA A CACCIA DI MAMMUTH
“Un purgatorio?” rispose l’americano riferendosi a quella misteriosa Lucania dove era andato attratto da una leggenda locale: vi esistevano Mammuth Bianchi, animali preistorici che ogni tanto i pastori vedevano. Erano apparsi in vari posti ad Atella, nella foresta di Gallipoli Cognato, forse nella Val d’agri; chi diceva che erano bianchi, chi invece di color marrone, alcuni sostenevano che erano carnivori altri vegetariani; forse aggressivi forse pacifici. “In questa natura ed in questo posto? Con tutte le cose che mi avete raccontato? Qui non c’è bisogno di uno scrittore che inventi, qui basta che qualcuno accosti l’orecchio alla terra e catturi il respiro che sale dalle viscere. Le storie sono già belle ed inventate”. Era il 1955 o forse 56; quel viaggiatore e scrittore americano, sopravvissuto a qualche incidente aereo; nonostante fosse acciaccato volle visitare quella strana terra dove non era mai stato; attratto dal racconto della sua amica Fernanda; da poco aveva vinto il Nobel con Il Vecchio e il Mare; aveva visitato mezzo mondo, fatto guerre eppure fu colpito da quella regione dove sembrava che il tempo si fosse fermato; accarezzò anche l’idea lui famoso ma ormai malandato di fermarsi lì dove “ Da quando siamo partiti non fate che raccontare storie pigliate di qua e di là. Ma cosa è questo, il paese delle mille ed una notte? Uno chiude gli occhi, penetra con la mano una crepa della terra e quando la tira stringe un manciata di storie”. Così descrisse la Basilicata Ernest Hemingway; una frase straordinaria che mi ha colpito; aveva ragione il mio amico Bonaventura Tancredi quando me ne parlò. Mi chiese : “ma sai che Hemingway venne da noi, anche ad Avigliano”; non lo sapevo e non avevo letto il libro di Raffaele Nigro “Fernanda e gli Elefanti bianchi di Hemingway; un racconto suggestivo che narra e descrive la Lucania in modo affascinate, inusuale,onirico partendo dai ricordi di Fernanda Pivano che accompagnò il grande “Papa” qui da noi. Spesso si dice che si è narrato troppo di Basilicata e sempre con gli stessi stereotipi; invito a leggere questo racconto di Nigro; di stereotipi nessuno; di poesia molta seppur poesia in prosa di fatti veritieri.
L’arrivo a Potenza, città di estrema provincia dll’estremo sud non attrezzata per i turisti; all’epoca la letteratura contava e l’ospite era un mito vivente; Ernest fu portato in una vecchia osteria del centro dove mangiò cibi mai assaggiati: strascinati con ricotta salata e peperoni secchi e fritti che si chiamavano cruschi; poi della pecora cotta in un coccio con la verza; ebbene sì “lu cutturiedde”.
Poi la nottata ad Avigliano in compagnia di Mario Trufelli e di Vito “Tuccino” Riviello che lesse la mano a Fernanda Pivano in rima baciata; mentre alcuni aviglianesi suonavana con organetti e tammurr; cantando canzoni tradizionali e ballando la tarantella assieme a donne in costume. Pivano ricorda a Nigro che sia lei che Hemingway rimasero colpiti che nella nostra terra si mescolassero l’estrema "luttuosità" e la voglia di far esplodere la vita, esorcizzando la sfortuna con la musica, i banchetti ed il ritmo sfrenato. Fecero l'alba, erano in una massaria tra Potenza e Lagopesole, simpatico il siparietto tra Tuccino Riviello e l’americano, quando gli raccontò dei briganti e della rivolta dei contadini. Hemingway si appassionò e chiese a Riviello. “Contadini che combattevano per farsi liberi?” Il satirico Vito rispose “Contadini che non sapevano manco loro perché combattessero. Combattevano contro tutti e pigliavano mazzate da tutti” . Bandoleros impazziti; disse e rise l’americano; no bandoleros affamati e presi a tradimento da tutti gli fecero notare. Un viaggio in una Lucania senza tempo ma piena di storie di fantasmi, dove non c’erano strade anzi all'americano ricordava l’Africa ma ne fu ancor più affascinato; le dolomiti lucane, il pernottamento a Castelmezzano, la visita a Tolve e a Tursi, le bevute d’acqua nel Basento, le nuotate nel fiume Agri, la visita a Montemurro e la battuta di caccia in Val D’agri; dove Hemingway credette di sparare a un mammuth, o a una tigre ma con un latro finale poi nella realtà; che non svelo. La mia non è una analisi del testo ne una recensione, ma solo un invito a leggerlo; ne sono rimasto affascinato; si legge velocemente grazie alla maestria di Raffaele Nigro ma si fa rileggere volentieri, perché ogni volta vi è un nuovo particolare che fa riflettere. Una storia vera, che è anche un romanzo d’amore ed un diario di una Basilicata che non c’è più, ma della quale ancora esistono storie da raccontare; Hemingway si portò anche dei manoscritti medioevali avuti in regalo da un frate di Castelmezzano, se li face tradurre dal latino e quando li ascoltò ormai sempre più malato ebbe un sollievo; così confidò alla Pivano. Forse il ricordo di un amore che ebbe in Basilicata o forse perché lui grande narratore del novecento, che aveva cercato i furori nella cronache delle guerre, nelle passioni di tanti continenti ma sempre a lui contemporanei scoprì ormai alla fine della sua vita le passioni delle storie di un tempo senza tempo,scoperte in una terra magica chiamata Lucania.