L’IDENTITÀ AVIGLIANESE NEL LIBRO DI FRANCO SABIA
Presentato recentemente nell’Auditorium della Biblioteca Nazionale in via del Gallitello a Potenza, il volume »Come nasce una nazione»: «Gli Aviglianesi», storia di una colonizzazione interna, di Franco Sabia, direttore della Biblioteca Nazionale, presenti i sindaci di Potenza, De Luca, e di Avigliano, Summa. L’impegno politico e la diffusione delle conoscenze tra le «passioni » di Sabia, vissute, come ama sottolineare, «nell’irrinunciabile rispetto della propria dignità e dell’indipendenza del proprio pensiero». Sabia ha pubblicato numerosi testi sulla Basilicata e, in particolare, su Avigliano, suo luogo di nascita. Ad Avigliano è dedicata la sua ultima pubblicazione, commentata, in occasione della presentazione condotta da Renato Cantore, vice direttore Tg3, dagli storici Gianpaolo D’Andrea, Capo Gabinetto Mibact, e Antonio Lerra, Unibas, Presidente Deputazione Storia Patria Basilicata.
Quali le motivazioni di questo minuzioso lavoro di ricerca: un’«intima ragione di storia» o un atto d’amore per il proprio luogo d’origine?
« L’una e l’altra ragione. Non è senza significato storico il fatto che uno come Racioppi, tra le comunità di questa regione, s’interroghi proprio su quella degli Aviglianesi sollecitando ad indagare “quel mistero di storia” e ciò, per me, ha costituito lo stimolo forte a rovistare negli archivi e a leggere documenti in gran parte mai indagati o mai indagati a fondo. Certo un lavoro di ricostruzione storico come quello che abbiamo presentato, durato circa 3 anni, non lo si fa se non si ha amor di Patria».
Lei parla di «nazione» aviglianese, attraverso quali vicende storiche nasce questa specificità nel quadro delle comunità della Basilicata?
«Premesso che mi è piaciuto giocare con la definizione di “nazione”, coniata da Manlio Rossi-Doria, il volume documenta una “specificità” che è sicuramente estensibile ad altre comunità della Basilicata e meridionali. Gli Aviglianesi costruiscono la propria identità su tre o quattro valori: sulla loro capacità di “f aticare” (in meno di 70 anni dissodarono diverse migliaia di tomoli), mettendo a coltura ben 4 feudi disabitati (Lagopesole, Lavangone, Casalaspro e Torella); sulla capacità di rimanere uniti nella secolare lotta antifeudale; sulla dignità e sulla capacità di utilizzare a proprio favore le disposizioni legislative».
Oggi cosa resta non solo di questo orgoglio di nazione, ma anche della funzione storica da cui si è originato?
«Più che orgoglio, direi forte senso di appartenenza che, come si documenta nel volume, si è storicamente costruito per la lunga e unitaria contrapposizione al feudatario e soprattutto per la necessità di dover affrontare le avversità (della natura e degli uomini), in assenza dello “Stato ”, affidandosi sole alle proprie forze rinvigorite dal sostegno solidale e certo dei componenti della propria comunità. Di ciò oggi resta un senso di spaesamento, di dispersione. Il mio lavoro ha l’ambizione di contribuire a riprenderci quella nostra identità di “lunga durata”».