STEPHANE, IL MONZON EUROPEO DAL RING AL CINEMA D’AUTORE
Quell’incontro non lo dimenticherò mai, anche se non l’ho mai visto ma l’ho sentito, eccome se l’ho ho sentito. Non ricordo per quale motivo non riuscì a vederlo in tv, ci tenevo combatteva Acaries contro un avversario che mi faceva volare la fantasia. Ferrara, Stefhane Ferrara, mi aveva colpito il suo cognome, tanto diffuso anche nella nostra Basilicata. Tv spenta, ma non quella dei miei vicini, immigrati in Belgio che potevano fare notte tardi. Erano in vacanza. In concreto fecero la telecronaca gridando a squarciagola, tifavano per Ferrara, francese ma dal cognome italianissimo. Vinse Acaries, gran pugile, solo dopo anni seppi che quella serata del 5 agosto 1983 a Nimes, oltre all’europeo dei medi Acaries – Ferrara, si combatteva anche per l’europeo dei massimi e dei mosca. I periodi della grande boxe. Solo dopo 34 anni ho saputo che Ferrara salì sul ring con una mano mezza spaccata, tre giorni prima aveva avuto un infortunio. «Non avrei mai dovuto combattere, mano rotta ed ero un giovane orgoglioso e stupido – mi racconta Stefhane – mi credi mon amì». Certo che ti credo Stefhane. Era chiamato il Monzon europeo, alto, slanciato, pugno secco e tecnico, ma lascia presto la boxe, era anche un idealista, se avesse preso altre decisioni, avrebbe avuto un’altra carriera. «Ero giovane e stupido- mi ripete – ma pazienza sono bei ricordi ». Del resto Ferrara è un saggio, ha vissuto sempre ogni esperienza e vive sempre ogni esperienza, da saggio e lo era anche da giovane, ma un saggio idealista e con il dovuto distacco dalle sirene dell’effimero. Sapevo che si era dato al cinema, ci siamo ritrovati su facebook. Notavo questo signore che metteva sempre mi piace sui miei articoli di boxe ma soprattutto su foto di arte e di paesaggi lucani. Era lui, del resto Stephane ama l’arte, il bello, ama la cultura. Sul ring faceva paura, ma è un uomo dall’animo gentile, molto curioso di ogni cosa. Mi chiede dei Normanni, perché lui di diretta origine siciliana sentiva sempre parlare del regno di Sicilia- parliamo di Melfi, del Guiscardo, di tanto, ma poi tocca a me, io sono il giornalista e lui l’attore che ha lavorato con Oliver Stone e Angelina Jolie. Tocca a me.
Lasci la boxe ancora nel pieno delle tue forze e poi passi a fare l’attore, come capitò?
appuntamento in un ristorante, e mi chiese per di fare la rivincita contro il fratello, dopo ore e ore di chiacchiere arrivammo a 500mila franchi, poi l’organizzatore scese a 450mila. Dissi “facciamo 450mila e più il tuo vecchia Jaguar”. Saltò tutto, poi Acaries, combatté contro Carlos Santos, ero a bordo ring, volevo togliermi la camicia e salire io sul ring. Deluso feci l’ultimo incontro, contro un americano e per caso conobbi Jean -Luc Godard , mi misi a studiare teatro, feci corsi e così lasciai il ring e divenni aspirante attore».
Hai lavorato con grandi registi e grandi attori. Ma scommetto che Jean Paul Belmondo e Jean -Luc Godard sono quelli colpito di più.
«Belmondo è il fratello maggiore che ognuno vorrebbe avere, è un giovanotto, con tanta verve, sai che quando legge un copione le pensa tutte come fare le gag, scene surreali. È così vuole divertirsi, e far divertire è una meraviglia. Nel cinema ho incontrato poche persone che possono darti la voglia di continuare, Godard è uno di quelli. Pensa che ci metteva tutti noi attori in una camera assieme per creare l’empatia, lui mi ha fatto innamorare anche dell’intellettualismo, ma sono convinto che nella vita ci vuole anche la franchezza, la genuinità e meno il falso intellettualismo… Sai mi faceva più paura la violenza intellettuale che i pugni, ora che ho i capelli bianchi non la temo più, ci sorrido e Godard è un intellettuale vero, ti fa amare la cultura. Poi Oliver Stone, però una situazione assurda, sono apparso in Alexander per soli tre secondi nel film dopo tre mesi di set e tantissime scene di guerra…. Poi – ride- passavo tutto il tempo con i marocchini, agli americani sembravo uno strano. Comunque Oliver Stone, è realmente un personaggio straordinario, affascinate, unico».
Stephane mi hai raccontato che hai vissuto molto a Roma, ma che frequentavi la Roma mondana ma anche la Roma dei romani veri. Cioè?
«Allora diciamo che dopo “Mon Bel Amour” di José Pinheiro., che in Francia ha avute molte critiche, però ho ricevuto una lettera da parte di un romano doc,Alberto Moravia che mi faceva le congratulazioni. Mi è rimasto nel cuore quell’episodio, perché sono stato male per due anni, per gli attacchi di quel film, che mi ha insegnato tante cose. A Roma ho vissuto molto con i romani veraci, è una città che è un set all’aperto. La portinaia del mio condominio mi diceva sempre “aho.. ma che fai l’attore… Pure io ne ho fatto de film , na quarantina…” Come Napoli, altro set reale all’aperto… Ho imparato a camminare a Roma, a passeggiare, a vedere i particolari, tutto. Frequentavo le periferie A Roma, a Napoli trovi sempre qualcosa che ti sorprende, l’arte,, i palazzi, gli angoli. Fai facevo 30 km al giorno a camminare…. Il mio posto preferito era Campo de’ Fiori»
Però Tinto Brass e Enrico Maria Salerno ti sono rimasti nel cuore.
«Tinto Brass lo moltissimo perché è un vero coraggioso, un uomo molto colto, conosceva il cinema realmente. Sai sul set era concentratissimo, accettai di fare Paprika con lui, perchè mi aveva colpito “La chiave “ con Stefania Sandrelli: un filmonee…… Salerno era più classico nel lavoro, una bella persona, Nel casting poi seppi che era anche lui di origine siciliana come me. Ho imparato da lui molto, perché ero un neofita nel cinema. Mi ha dato tanti consigli. E tanti tanti altri…»
Poi il ritorno a Parigi, altri film tra cui I Miserabili con Belmondo, ora sei nelle sale cinematografiche con Laissez bronzer les cadavres ! di Hélène Cattet e Bruno Forzani . La critica ha dato recensioni positive.
«Oui Oui, perché non è facile adattare la trama del romanzo di Jean-Patrick Manchette ad un film. Mon amì, devi leggere quel romanzo, poi vedilo il film. Non è un film esageratamente “intellettualistico” ma c’è cultura, Sai è anche molto Sergio Leone in alcune scene del film. Mi sta dando molte soddisfazioni, molte lo ammetto».
Mi dici sempre la cultura è fondamentale, la cultura è l’anima dell’umanità. Ma per Stefhane Ferrara cosa è la cultura, cosa è il “bello”.
«La cultura è quella cosa che non ha frontiere, se ha frontiere, se ha nazionalismi, se ha steccati non è cultura. E’ inutile e necessaria allo stesso tempo, poi la creazione, l’arte, la creatività di poter cancella re tutto e ricreare. Per me l’arte, è distruzione e rigenerazione allo stesso tempo. Per esempio a me Alì piaceva, perché sul ring faceva tutto quello che un pugile non deve fare;: abbassava la guardia, ballava, non badava alla difesa… Insomma così è l’arte… E ribadisco: la cultura serve a abbattere le frontiere, i razzismi….»
Il tuo sogno nel cassetto? Lo vuoi fare da attore, da regista, da autore?
« Io non mi considero nè attore, nè regista, né autore. Il mio sogno però di vivere “artisticamente” di fare della mia vita una “parte di arte”.. Per questo sono contento di aver lavorato con Gotard e ora con Hélène Cattet e Bruno Forzani che fanno un cinema diverso, coraggioso ». Un’ultima domanda, hai letto il mio articolo su Jake Lamottae mi chiamasti. Ci hai fatto anche un film con lui, eravate molto amici. Come era realmente il Toro del Bronx? «Era un toro…. Ma un toro che si difendeva… Con tutti i cazzotti che ha preso, con l’alcool che ha bevuto, è morto a 96 anni. Quando ho fatto i guanti con lui sul set, era anziano ma ne sentivo la possanza…. La notte in discoteca ballava con la moglie come un forsennato... Era una forza. Monzon, ci conoscemmo a una festa in suo onore, una torta a forma di guantone. Mi faceva paura…. Un giornalista gli disse “sai avrei voluto vederti contro Hagler”. Lui si arrabbiò e spacco la torta con un pugno … Era un “primitivo” ma generoso, cordiale, di cuore. Ci sono tanti episodi, dove Monzon ha aiutato le persone,, si preoccupava degli altri. Tanti…»