«Basterebbe che ogni italiano, in una di quelle domande rivolte alla propria coscienza che neppure il fascismo può impedirgli di porsi, si chiedesse di che razza è, da dove viene il colore dei suoi occhi o della sua pelle, perché l’antica purezza del sangue proclamata dal Ministero della Cultura popolare prendano un aspetto assurdo. Tutti gli italiani portano in se stessi le tracce delle razze dei 4 punti cardinali. Basta guardarci nello specchio, basta guardarci l’uno bene in faccia all’altro, per riconoscere su ognuno di noi i segni di un passato mescolato alla storia di tanti altri popoli». Con queste parole Franco Venturi, intellettuale antifascista confinato, dal 25 maggio del 1941, ad Avigliano per 26 mesi dal regime, stigmatizzava in un articolo pubblicato nel 1938 su “Giustizia e libertà”, l’antisemitismo dilagante. Il brano è stato letto ad Avigliano dalla professoressa Elvi Argento, accompagnata dalle note della chitarra di Pietro Santarsiero, nell’ambito del convegno dedicato allo storico torinese in occasione della giornata della memoria. La sagacia dell’autore e la sua forza pervasiva, le sue idee che l’hanno visto schierarsi non dalla conveniente parte del più forte, subendo così la perdita della sua libertà, hanno rappresentato il nucleo su cui si è dipanato l’incontro per ricordare la persecuzione del popolo ebraico e le deportazioni civili e militari degli italiani nei campi di concentramento nazisti. All’evento, organizzato dall’Associazione Franco Venturi della cittadina, sono intervenuti il figlio dello studioso, Antonello, docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Pisa, che ha parlato del padre e fatto un breve excursus sul fascismo, Silvia Berti, figlia del noto antifascista Giuseppe e nipote di Di Vittorio, ordinaria di Storia Moderna alla Cattolica di Roma, e Gennaro Claps, cultore di storia patria e autore, tra gli altri, di due libri sui confinati ad Avigliano. Claps, nel suo intervento, ha raccontato ai presenti diversi aneddoti della forzata residenza aviglianese del Venturi, mentre la Berti, reduce da un certosino lavoro di archivio per la pubblicazione del carteggio tra il ventisettenne Venturi e uno degli intellettuali più importanti d’Europa, Benedetto Croce, ha mostrato, attraverso le lettere, la figura di un Venturi più filosofico, assetato di sapere, e che, rispetto ai precedenti luoghi di confino, ha trovato ad Avigliano «una condizione di molto migliorata, potendo avere una camera per me solo e maggiore libertà da sfruttare per gli studi». «Venturi – ha concluso la Berti – ha contribuito, insieme con i tanti antifascisti, ed anche grazie a coloro che l’hanno aiutato a studiare, come molti bibliotecari del luogo, che gli reperivano, rischiando il posto e la loro incolumità, i libri, a far rinascere l’Italia, per darle lustro e grandezza». Perché «null’altro noi siamo – diceva Franco Venturi – se non la storia e la volontà di non lasciare l’Italia in mano a coloro che l’abbassano a zoologia».