OMICIDIO MECCA DA 18 ANNI UN GIALLO
Avigliano. Un corpo esanime riverso in un lago di sangue. Una tenda staccata dalla parete e poggiata sul cadavere straziato da 11 feroci fendenti inferti da arma da taglio. E’ la raccapricciante scena che si sono trovati davanti agli occhi i soccorritori e le forze dell’ordine accorse sul luogo del crimine. Era il 22 ottobre 1994 quando un’ancor’oggi ignota mano, brandendo un affilato coltello mai ritrovato, ha tolto la vita alla 72enne pensionata aviglianese Anna Maria Mecca. Sono trascorsi 18 anni da quel terribile sabato, 18 lunghi anni durante i quali un assassino ha continuato a godere della sua libertà e le indagini, aggrappatesi inizialmente a labilissimi indizi rivelatisi infondati, hanno imboccato un binario morto. La donna, che non aveva figli ed era vedova, viveva da sola in un appartamentino nel centro storico della cittadina gianturchiana. Il suo corpo fu trovato da una nipote che era solita andarla a trovare. Nell’appartamento di via Cairoli, dalle verifiche che seguirono, nulla pareva fuori posto. C’era solo la tavola ancora apparecchiata con i pochi resti del pranzo con al centro un bottiglione, vuoto, di due litri di vino, acquistato in un negozietto di alimentari la stessa mattina del delitto. Accanto un bicchiere, ancora pieno. Proprio attorno a questo particolare si costruì un’ipotesi accusatoria. Gli inquirenti, infatti, individuarono un unico sospettato, un amico del defunto marito della vittima che era solito andarla a trovare e che durante le visite beveva sempre del vino che la donna gli offriva. Nonostante sospetti evanescenti, il pm Felicia Genovese che seguiva il caso avanzò anche richieste di misure cautelari, che vennero rigettate prima dal Gip e poi dal Tribunale del Riesame. Quando già si era giunti alla fase del processo fu la prova del Dna a togliere ogni dubbio e portare ad un verdetto di assoluzione che, alla fine, era stato chiesto anche dallo stesso Pm. Gli esami della scientifica portarono, nel settembre del 1997, anche l’esclusione di un altro sospettato, un 33enne tunisino, Ben Mohamed Ezzedine Sebaii, arrestato con l’accusa di essere l’autore di una serie di rapine con omicidio a danni di vecchiette avvenute lungo il confine tra Basilicata e Puglia, il cui gruppo sanguigno non era coincidente con le tracce di sangue, non appartenenti alla vittima, trovate nell’appartamento. Sono sempre stati anche gli stesi familiari, tuttavia, ad escludere l’ipotesi di una rapina finita nel sangue. Le tracce biologiche presenti sul luogo del delitto e che sono servite a scagionare gli unici due sospettati nel corso di questi lunghi anni di dubbi e interrogativi, non hanno aiutato gli inquirenti a mettere alcun punto fermo su un efferato assassinio in cui mancano ancora sinanche il movente e l’arma del delitto. Pare davvero ancora lontana la risoluzione del cold case aviglianese.