LA CITTÀ DEL SOLE

09/07/2014
CALCIO E POLITICA: LA PARTITA FANTASMA DI PINOCHET
 
"La Juventud y el Deporte unen hoy a Chile". Recitava così il tabellone dell'Estadio Nacional di Santiago del Cile il giorno 21 Novembre 1973. Eh già il 1973, in questo frammento di mondo così morfologicamente illogico tanto da pensare che sia saltato fuori da un quadro di Picasso, l'11 Settembre di quello stesso anno prendeva il potere con un golpe militare il generale Augusto Pinochet (agevolato anche dal tacito supporto della CIA, che voleva prevenire a tutti i costi il cosidetto “incubo socialista” ) rovesciando il governo di Unità Popolare presieduto da Salvador Allende (che si suicidò pur di non consegnarsi agli uomini di Pinochet) ed instaurando una dittatura militare reazionaria, populista e fortemente anti-comunista. Una volta giunto a Palazzo Moneda, il Satrapo iniziò le torture e le epurazioni contro gli oppositori politici e l'Estadio Nacional si trasformò in quei giorni in un vero e proprio lager o gulag, a seconda del delirio ideologico da cui lo si guarda. Gli spogliatoi anzichè accogliere i calciatori come da canonica liturgia divennero la dimora dei plotoni d'esecuzione, che sembravano fare a gara "a chi ne faceva cadere di più" proprio come i bimbi che sparano alle lattine del luna park. Il 21 Novembre di quell'anno e proprio in quello stadio era previsto il ritorno dello spareggio tra Cile e URSS valevole per l'accesso alla fase finale del Mondiale 1974 in Germania. La Roja si era qualificata allo spareggio decisivo estromettendo il Perù nel girone eliminatorio, l’Unione Sovietica invece aveva vinto il nono girone europeo il che però in virtù di uno strano regolamento la constringeva allo spareggio con una squadra Conmebol. La gara d'andata giocata due mesi prima a Mosca si era conclusa sullo 0 a 0 dando quindi la possibilità alla nazionale andina di giocarsi la qualificazione in casa. L'Unione Sovietica chiese alla Fifa e all'allora presidente del massimo organismo calcistico mondiale, Stanley Rous, di far disputare l'incontro su un campo neutro. Richiesta respinta al mittente senza alcuna motivazione ufficiale, ma con l'ufficiosità di non volersi inimicare i tanto potenti quanto dissennati regimi dispotici presenti nel panorama geopolitico internazionale, una mera strategia volta a non incrinare i rapporti di forza tra sport e politica, il tutto infischiandosene dei diritti umani. La nazionale sovietica si rifiutò di presentarsi in Cile per giocare il ritorno ma la follia di Pinochet non aveva limite. Fu così che il generale ordinò che quel giorno la “partita” si sarebbe dovuta disputare ugualmente. Preso atto della volontà del dittatore l’allenatore Luis Alamos comunicò ai giocatori che all’azione del goal doveva partecipare tutta la squadra e che a Francisco Valdes, capitano e idolo del Colo-Colo, sarebbe toccato lo squallido onere di segnare il goal più vergognoso della storia del calcio. La folla era accorsa in massa, lo stadio era stracolmo in ogni ordine di posti, una vera e propria idolatrazione teofanica del regime. Fu cosi che dopo il fischio d’inizio dell’arbitro austriaco i giocatori cileni si avviarono incontrastati verso l’area, che le mie meningi si ribellano di definire avversaria, e al culmine di una fitta rete di passaggi, come da copione Valdes mise la palla in rete, ma soprattutto pose fine all’agonia del calcio costretto quel giorno ad inchinarsi a Pinochet, ridotto a marionetta nella mani di un delirante autocrate, a strumento di propaganda di un regime sanguinario. Al rientro negli spogliatoi molti giocatori si sentirono male, tra questi l’autore dello pseudogoal, Valdes, che andò in bagno a vomitare anche se il dolore maggiore era quello derivante dalla coscienza violata. Basti pensare che vent’anni dopo lo stesso Valdes inviò una lettera al massimo poeta cileno, Pablo Neruda, descrivendo i suoi tormenti dell’animo derivanti da quella nefasta esibizione: “Le scrivo per togliermi un peso enorme dalla coscienza, sono quasi vent’anni che me lo porto dentro” queste le parole usate dal capitano per introdurre la missiva. Per la cronaca il risultato omologato e tramandato ai posteri fu 2-0 a tavolino in favore del Cile. Sempre per la cronaca quel giorno la Federazione Cilena sapendo dell’ammutinamento della compagine sovietica aveva invitato il Santos per una gara amichevole. La squadra brasiliana, peraltro senza Pelè, umiliò 5-0 la nazionale andina. Come diceva Dante non esiste peccato senza il suo contrappasso. Fu così che il Cile pagò il suo peccato al Mondiale dell’estate successiva quando in virtù della sconfitta contro la Germania Ovest e dei due pareggi di fronte a Germania Est e Australia venne subito eliminato e fece precocemente ritorno in patria anche se per alcuni calciatori tra cui Carlos Caszely, autentica bandiera del Colo-Colo, di estrazione socialista e convinto sostenitore di Allende ciò non sembrava essere una cosa negativa, dichiarò infatti ai cronisti: “Quando tornai in Cile dal Mondiale mi sentii sollevato”. Ma chi avrebbe potuto evitare tale ignominia? Analizzando bene la vicenda risulta chiaro come in primis le responsabilità siano da attribuire alla FIFA, rea di non aver accettato le richieste dell’Urss, in secondo luogo l’arbitro che avrebbe potuto non fischiare l’inizio di quell’aberrante contesa rendendosi di fatto complice del regime ed infine i calciatori che si sarebbero potuti rifiutare di scendere in campo, in merito a questa eventuale disertazione lo stesso Caszely dichiarò di essere stato combattuto tra il seguire gli ordini del regime e il far naufragare l’azione del goal lanciando la palla in fallo laterale optando però per la prima . Non abbiamo la presunzione di giudicare il comportamento dei calciatori cileni anche perché sarebbe troppo facile farlo dietro una scrivania protetti dalla trincea scavata dal pc, tuttavia ci auguriamo che ciò che è stato e quindi è irrimediabilmente incontrovertibile possa servire ad evitare tali “laboratori di follia impastata con la violenza”.
 
a cura di Lacerenza Vincenzo
fonte aviglianonline.eu