SKUHRAVY, AGUILERA E QUELLA MAGICA NOTTE AD ANFIELD
Bovisa, Prerorv nad Labern e Montevideo. Luoghi, latidutini, tradizioni e costumi diversi. In comune però qualcosa: il Genoa. La Bovisa è un sobborgo dell’hinterland milanese divenuto sito industriale dopo un’opera di riconvertimento avvenuta a cavallo degli anni ’50 e ’60. Quartiere proletario, popolare, genuino dove la Fernet Branca ha pensato bene di installare una filiale e dove sopratutto nacque nel lontano 1935 Osvaldo Bagnoli, l’uomo dei miracoli di Verona. Profeta della zona mista e del catenaccio, aveva un concetto di calcio operaio, probabilmente trasmessogli in maniera osmotica dalla Bovisa.
Lui, il “Mago della Bovisa“, chiamato così con slancio enfatico dai tifosi gialloblu in estasi per la conquista dello scudetto, era stato chiamato ad allenare il Genoa nella stagione 90-91, in sostituzione di un altro grande inquilino delle panchine italiche: Franco Scoglio, per tutti Il Professore.
Prerorv nad Labern invece è un paesino della Boemia Centrale a circa una quarantina di chilometri da Praga. Colline ondulate, panorama variegato, e milleduecento anime distribuite dalla mano sapiente del Creatore, o da chi per lui. Una di queste è Tomas Skuhravy. 193 centrimentri di potenza, fisico erculeo e piedi raffinati. Nato nel ’65, dopo un avvio di carriera trascorso ad impallinare portieri boemi con le maglie di Rh Ceb e Sparta Praga, si fa notare nelle notti magiche di Italia ’90, dove con la nazionale cecoslovacca mette a segno cinque reti. Dopo lo scintillante torneo iridato arriva la chiamata del Grifone. Impossibile rifiutare l’offerta, e allora eccolo pronto ad affiancare Pato Aguilera, ragazzo uruguagio arrivato a Marassi l’anno prima dal Penarol. Il tempo la ribattezzerà come una delle coppie meglio assortite della storia del calcio. Il pragmatismo boemo da una parte, lo stilema e i virtuosismi sudamericani dall’altra. Fisicità e imprevedibilità unite per dar vita ad un attacco atomico. Aguilera l’innesco, Skuhravy la spietata macchina da goal. Fantastico. Due persone completamente agli antipodi, non solo tecnicamente, ma anche nell’interpretare la vita. Professionale e avvezzo al sacrificio il primo, balzano e con una passiona smodata per il vizio e il piacere il secondo. In campo però una cosa sola.
Nella stagione 91-92 gli ingredienti per far bene ci sono tutti, la ricetta pure e il cuoco anche. Al via della Coppa Uefa, allora ancora una manifestazione di nobile valore, c’è anche il Genoa pronto a stupire l’Europa. L’esordio è ad Oviedo. Il clima asturiano non porta bene al Grifone che viene sconfitto di misura 1-0. Niente panico, al ritorno a Marassi sono le reti di Skuhravy (2) e Caricola a mandare avanti a spinta i rossoblu. Il primo gradino si sa è il più impervio.
Scrollatasi di dosso l’emozione del debutto la compagine ligure schianta prima la Dinamo Bucarest ( 3-1/2-2) e poi i rumeni della Steaua Bucarest, doppio 1-0 griffato da Aguilera e Skuhravy. La squadra è in salute, Aguilera illumina con gambetas e numeri d’alta scuola, Skuhravy incorna, svetta, segna. Ai quarti di finale però l’urna riserva una grande d’Europa: il Liverpool.
All’andata a Marassi i tifosi presentano una coreografia da brividi, campeggiata da uno striscione con su scritto “We Are Genoa“. Messaggio identitario, dichiarazione d’appartenenza, tre parole per far capire all’interlocutore inglese l’inferno che lo attende. Il Genoa parte bene, macina gioco e al termine del primo tempo passa a riscuotere: passaggio di Signorini per Skuhravy, il ceco senza pensarci su due volte serve l’accorrente Florin, lesto a trafiggere Hooper ed a portare avanti il Grifone. Il Liverpool però è una grande squadra e come tale ragiona: capisce che non è serata e cerca di limitare le perdite. L’obiettivo dei Reds sarebbe centrato, ma Branco, terzino brasiliano in forza ai rossoblu, non è daccordo e disegna un arcobaleno di rara bellezza che si insacca all’incrocio dei pali. 2-0, risultato perfetto. Non secondo il Liverpool spocchioso, che con la plutocratica sfacciataggine delle superpotenze si dichiara certo di ribaltare il risultato nel catino infuocato di Anfield Road. Difficile comunque dargli torto. Anfield infatti è uno di quegli stadi dove il dodicesimo uomo smette di vestire i panni della metafora.
Nella città dei Beatles e di Andrew Daldby il clima è fiammeggiante. Decibel altissimi e tifosi assatanati fanno da contorno all’ingresso delle squadre in campo. E’ il 4 Marzo 1992: una data storica non solo per il Genoa, ma per tutto il calcio italiano. Ne vedremo il perchè più avanti. La partita è adrenalinica, con occasioni da una parte e dall’altra. Il sottile filo dell’equilibrio si rompe al 27' quando a culmine di una manovra corale ben orchestrata Ruotolo si incunea tra le maglie rosse e serve Aguilera, l’uruguagio ringrazia e con un sinistro chirurgico infila la rete dello 0-1. Il Liverpool trascinato dalla marea rossa stipata nella famigerata curva Kop, riprende forza quando Rush approfitta di un’incertezza della difesa rossoblu per beffare Braglia e riportare l’incontro sui binari dell’equilibrio. Pareggio che al Liverpool non basta. Per inerzia dettata dal risultato i Reds si buttano a capofitto nella metà campo rossoblu. A questo punto inizia la sfida personale di Braglia, portiere con un passato tra Como, Legnano, Pavia, Sambenedettese, Lecce e Monza. Non esattamente l’aristrocazia. E’ la dimostrazione dell’aforisma di Warhol. Anche a Braglia, gregario con una vita calcistica spesa nelle retrovie e lontana dalla luce abbagliante dei riflettori, spetta una serata di gloria. Moelby, grottesco e goffo centrocampista dei Reds, Rush e Jones, portano l’assalto alla porta difesa da Braglia. I tifosi urlanti alle spalle, la controaerea dei Reds davanti. Per il povero portiere di Ponte Chiasso sembra non esserci scampo. Il ragazzo con la casacca numero uno ha compreso il carattere volatile delle qualificazioni e quello imperituro di una vittoria ad Anfield. Si erge a pasdaran, ribatte colpo su colpo, vende cara la pelle e ad alla fine risulta essere vincitore. Il Liverpool stremato mentalmente, ancor più che fisicamente, cede definitivamente il passo ai liguri. Poco dopo il settantesimo un contropiede da manuale condotto da Skuhravy, rifinito da Eranio e concluso dal solito Aguilera mette il punto esclamativo sulla vittoria del Genoa ad Anfield. La prima di una squadra italiana sull’inespugnabile terreno dei Reds.
Nei bossolotti per i sorteggi delle semifinali il Genoa è in buona compagnia. Ci sono infaati Torino, Ajax e Real Madrid. Il Mago della Bovisa non asseconda troppo la scaramanzia imperante e si sbilancia. Chiede l’Ajax, l’urna lo accontenta. Poi se ne pentirà.
E’ il 1 Aprile 1992. La nebbia dei fumogeni vela ancora i riflettori quando dopo una proiezione sulla fascia Van’t Schipp scodella al centro, Petterson si fa trovare pronto all’appuntamento e con un colpo di testa ben calibrato assesta il primo scossone al match. Il Genoa prova a scuotersi, ma la reazione veemente non va oltre un palo colpito da Skuhravy. L’Ajax è più cinico e spietato e con Roy si porta a distanza di sicurezza. A questo punto il Grifone pungolato nell’orgoglio e aiutato dalla forza della disperazione costringe l’Ajax nella propria metà campo. Aguilera, fin li ectoplasmatico, entra in scena e cala una doppietta rimettendo tutto in discussione. Il Genoa però ha dato tutto, la spia della riserva è accesa. L’Ajax annusa il colpaccio, un Grifone eccessivamente votato all’attacco fa il resto: Winter su cortese assistenza di Bergkamp trova il goal che spegne gli entusiasmi del popolo ligure. Il Genoa è virtualmente fuori. Per passare occore un’impresa in suolo olandese. Non andra così , ad Amsterdam finirà 1-1. Negli occhi di tutti però un solo fotogramma di quella serata: la sciarpata da brividi e pelle d’oca riservata dai tifosi genoani come omaggio per la splendida avventura regalata