UNITRE - L'UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ: FOTOGRAFIA E RICAMO – IL MOTO DEL FARE PER UN MODO DI ESSERE.
Uno dei modi per sopperire alla impossibilità di assistere personalmente ad un evento culturale come quello di una Mostra, è leggere il suo catalogo, che però, molto spesso è costoso; un altro è di farlo “recuperandolo” a prezzo scontato, ma quando l'esposizione ha “sbaraccato”, e, dulcis in fundo, quello di avere la fortuna di “partecipare” in una vivace comunità, magari come quella aviglianese, in cui insistono organismi culturali istituzionalmente riconosciuti che, districandosi tra mille difficoltà, di cui preferisco tacere, operano, curando ed organizzando questi eventi a costo zero per i visitatori. Tra le nostre entità culturali, quella che a mio parere va certamente menzionata per costanza qualitativa, per interpretazione autentica del suo dettato istitutivo, oltre che per la sua evidente capacità di rimuovere la sacca dell’incomunicabilità intergenerazionale, c'è la “nostra”
UNITRE – Università delle tre Età. In quasi venti anni di attività, grazie alla determinazione dei suoi componenti, alla qualità dei tantissimi docenti volontari che si avvicendano ed all'aver saputo aprirsi a tutto il territorio, l'UNITRE rappresenta sicuramente un punto qualificato di eccellenza per il comprensorio aviglianese. Oggi, ma non da oggi, sotto l'attenta guida del suo Presidente, il Dott. Carlo Onorato, coadiuvato tra gli altri, dal Prof. Donato Sabia nel delicato, quanto prestigioso ruolo di coordinatore dei vari Laboratori Formativi, l’ateneo promuove le sue attività disegnandole in un vero e proprio Progetto di Vita. L’intento è di fronteggiare, sino a farlo arrendere, lo “shock da pensionamento”: una vera mina per tante persone estromesse dai processi produttivi. Stimolare, sostenere e praticare l'esercizio culturale è vitale per tutti. Aiuta a percorrere l'esistenza. È l'antidoto per restare vigili, attenti, preparati, attivi, operativi; il generatore di uno stato di benessere, che si rivela opportuno strumento di contrasto al disagio. Lo sapeva bene chi, nel 1975, pensò di istituire nella sua Torino la prima sede dell’UNITRE. Continuare questo percorso, farlo ora che le dinamiche di una persistente e sempre di più erosiva crisi economica, sembrano aver ragione non solo dei quiescenti e recuperare tout-court la qualità del ciclo di vita, è, addirittura, un obbligo morale, cui l'UNITRE continua a non sottrarsi. Sicuramente sono queste le motivazioni determinate da fermo convincimento che, al limite della temerarietà, porta tutti i sui iscritti e volontari, ad adeguarsi praticamente ad ogni disponibilità offerta, riuscendo ad organizzare con dignitosa compiutezza il risultato prodotto, ovvero questa Mostra: frutto dalla programmata didattica che riesce a valorizzare persino una modesta, quasi angusta, area di transito, data in “prestito”, e, di trasformarla in una simpatica quanto vivace “Galleria d'Arte”. É stato, infatti, il corridoio che porta all’Aula Consiliare, intitolata a V. Verrastro, messo a disposizione dall’Amministrazione Comunale, ad aver ospitato i lavori che sostanziano quanto gli iscritti hanno appreso dai Laboratori Formativi. Questi corsi sono stati magistralmente condotti dalle signore Marietta LOVALLO e Mariangela CLAPS, nella loro capacità, che va sottolineata, di offrire una “guida”, un modello di auto-regolazione cognitiva ed emozionale che continua a rivelarsi come la pronuncia di un efficace contrasto ai variegati problemi esistenziali. Il risultato è presto detto. Si evidenzia dalle soddisfatte espressioni degli allievi, evidentemente consapevoli di modulare con queste attività, la salute, consentendosi di vivere nella saggia pratica della “salute consapevole ed operativa”. Questo, a mio parere, il valore aggiunto che viene trasferito non solo mediante l’eccelso sapere, di Mariangela e di Marietta, in una sorta di software mentale, incentrato sull’acquisizione della consapevolezza del Sé e del suo valore intrinseco. E’ mio convincimento che la qualità culturale, molto spesso, non scaturisce dalla sola qualità di quanto viene promosso, ma dalla sua quantità. Questa serve, di per sé, ad acquisire una sempre maggiore conoscenza e, quindi, la consapevolezza di innescare dinamiche selettive con le quali arrivare (purtroppo, non sempre) a definire il valore qualitativo di questo o di quell’altro prodotto culturale. Credo, senza ergermi a facile deduttore che questo convincimento appartenga anche all’UNITRE, il cui modo di fare, riconosco, viene spinto al punto da elevarlo a “
Modo di Essere”. La pratica del “tanto” per l’ottenimento del “necessario”, ai palati fini potrebbe arrecare disturbo, lo riconosco, ma qui - provo a rassicurarli -, non è in gioco la velleità di nessuno. Qui, con l’UNITRE la strada che si percorre non tocca l’indistinto, ma l’
Essere in continuità con sé stesso al fine di neutralizzare il fattore tempo, e, con la consapevolezza di possedere una identità, che ci orienta nel comportamento quotidiano e che ci espone attraverso le sue evidenze: di passato, di presente e senza prescindere dall’immaginare un futuro sempre evolutivo in cui continuare ad adoperarci. Chiedo immediatamente scusa per il taglio da testimonianza diretta, che ho dato a queste riflessioni. Non è solo per confesso narcisismo, ma anche per proiettare, senza sottrarmi da alcun giudizio, l’immagine resa dall’azione che, come detto in precedenza, da circa venti anni a questa parte l’UNITRE di Avigliano promuove e che ho ricevuto! Il mio è un tentativo di riferire senza frastuono, di risultati il cui carattere è, per così dire, cognitivo. Forte di questa consapevolezza, oggi, accompagnato dal profumo dell’ospitalità ovattata, come in un paesaggio innevato che smussa, che ristabilisce le distanze ribadendole in una infanzia perenne, ho goduto della bella Mostra. Ho trovato la signora Mariangela Claps, cui ho rivolto il mio apprezzamento e ringraziamento per tutto quanto fa, senza risparmiarsi per il bene comune. Così, subitaneamente immerso nel pieno dei lavori esposti, li ho avvertiti nella luce che separa l’intimo dall’indifferente e legati in armonia, come sa fare il registro sonoro del diapason distinto di sapienza. Eccole le foto. Parlano dei silenzi assorti e solenni della vicina Romagnano. Delle sensuali Maschere tricaricesi, nel loro essere forma realistica e visionaria, densa e miscredente, in cui ogni diverso tratto fisionomico è un crepuscolo ostentato: una sottile intercapedine tra la vita e il suo contenuto. Fotografie che dicono dell’aspro suolo del Pollino, delle sue sferzate di vento, gelide, pronte a certificare il cangiare della luce, sino a digradarla intrappolandola nella carnosa legnosità della “lorica”,ma anche della generosità dei suoi esseri ad accogliere il gruppo festoso degli aspiranti fotografi. Foto che a primo impatto “deludono” nel loro essere soggetto sin troppo abusato, ma che sono lì disposte in rette fragili, quasi caduchi filamenti, a testimoniare di una ferrea volontà: quella di tutti i protagonisti. Trattenute da un sottile filo che le trasforma in un tracciato ordinato di fotogrammi pronto ad esaltarsi, ma solo se lo osservi oltre le scrupolose geometrie accademiche e nel loro insieme. Sarà stato il curatore a voler riferire del “complesso della Unità”? Solo se le leggi così, senza il carico del pregiudizio, si affrancano del “terribile” giudizio iniziale e ti ammoniscono caricandoti di un impegno futuro a non esprimere giudizio affrettato e corroborato da vane parole. Forse, non è fuori dalla volontarietà, la sigla del paesaggio trattenuto nella sezione aurea del formato, che affastella esperienze trascorse, concentrate nel riflesso di una sola delle pietre. Oltre lo spazio, ora c’è il tepore della dimora, che è la con te, assorta nella vegetazione antistante da dove libera il suono dei piatti e si insinua l’aroma del pasto fumante. Ora l’inquietudine che l’intrigato “groviglio” del Pino Loricato, mi trasferisce, denunciando la sua solitudine, che è anche la sua forza di guerriero: impavido esempio di una lucanità, almeno appartenuta. É bastato poco per realizzare che mi sono trovato di fronte non al fotografare per fotografare, ma nel pieno miracolo della luce, riprodotta oltre se stessa grazie alla sensibilità dei giovani fotografi (ho riconosciuto, perché presenti, Domenica Coviello, Leonardo Guglielmi, Carmela Romaniello e Salvatore Mecca) diretti, insieme ad altri loro colleghi partecipanti il laboratorio, con superba maestria da Maria D’ANDRIA, fotografa, titolare dello Studio “Uno Scatto”, qui, ad Avigliano. Accompagnato da sguardi compiaciuti, soddisfatto, ho ripreso la via di casa, in compagnia di quelle belle immagini e con il ricordo dei “visi” ricamati con amore.