MOSTRA FOTOGRAFICA DI PRESENTAZIONE A CURA DELL'ASSOCIAZIONE CULTURALE FOTOGRAFICA STOP
Dio, se sono lontani i tempi di quando Joseph Niépce impressionò la sua Vista dalla finestra a Le Gras: la più antica fotografia di cui, credo, si abbia conoscenza documentale. Dunque, una storia, quella della fotografia, di quasi duecento anni, in cui questa attività “complessa e affascinante”, porta ad osservare il mondo con una percezione sempre di più diretta, senza mediazione. Come nella migliore tradizione evoluzionistica, anche in questa mostra fotografica c'è il ritratto, c'è il corpo, il paesaggio, la città, e finanche una raffinata forma di reportage sull'esistenza. Non ho letto, per mie probabili carenze, una linea conduttrice ordinata, immaginando, per questo, il segno di un preventivo ragionamento con il quale il curatore (?) ha voluto che la struttura del “mostrato” interessasse la Fotografia esattamente come esposta: senza, appunto, una precisa linea conduttrice ordinata. Sarà vero? Non lo so. Azzardo, e m'immagino di si! Quindi, sei là, di fronte ad un alterno susseguirsi di immagini, acute e penetranti - qualcuna appare scontare una sorta di virtuosismo accademico, ma ci sta -, tutte, però, segnano la diffusione del tempo. Quello che viviamo in tensione. Sospesi come le foto, ma appesi ad un filo diverso dal loro: quello dell'esistenza, che incede inesorabile e ci rende caduchi. Nessuno escluso! Un ordine imprecisato di cose, di volti, di scene, di persone, muove da quello spazio che è il Chiostro. Saluto gli amici. Ad esporre i propri lavori c'è; Gianni Pace, Gaia Pace, Paolo Regina, Angelo Regina, Daniele Crispino, Gianfranco Sabbatella, Bartolomeo Perrotta, Ortensia De Carlo, Francesca Nella e Mariangela Tripaldi.
Il “volume fotografico” si articola. I nuclei tematici ci sono, ma non sono scritti, come dicevo, secondo un canone ortodosso; sono sparsi senza un'apparente filo logico. Sei libero, ma anche un po' smarrito, certamente stordito dalla bellezza che avverti. La mostra è imbastita così. La sua durata è veramente inusuale: quattro, sole, ore. Una provocazione? Un richiamo alla freneticità con la quale tutto si muove, o, invece, il tempo strettamente necessario ad immagazzinare le immagini per rielaborarne, poi, intimamente, il significato? Forse solo la frenetica voglia di fare, gravida di passione, che spinge ad un filo oltre la temerarietà. Bene. C'è bisogno di questa freschezza. Comunque, la sensazione che avverto non è quella di trovarmi lungo la riva di un lago dalle acque calme. No. Mi accorgo piuttosto nel pieno delle rocciose coste di Normandia: irrorate, battute, dagli spumeggianti flutti dell'oceano. Ogni foto è un dardo - più di qualcuno è acuminato - ; l'acino di un grappolo d'uva; una perla; un graffio; una sferzata di vento. É una carezza: la denuncia di un piccolo gesto da non smarrire nell'universo. Oggi, non è, come cantava qualche anno fa Sergio Caputo, un sabato qualunque un sabato italiano, oggi, è un sabato diverso: è il 14 maggio del 2016 e sto partecipando ad una delle più belle Mostre fotografiche cui ho goduto. Non c'è adeguata meditazione, non né hai il tempo, devi prendere tutto quello che puoi e farlo subito per affastellarlo nel sangue, nei polmoni, negli occhi e rivederlo, poi, con calma, la tua calma; coi tuoi tempi: quelli della memoria. Tempus fugit! Come dicevo, sono poche le ore messe a disposizione dagli organizzatori, solo quattro, perché si possa godere compiutamente, secondo cultura visuale, la mostra. Mi avvio. Tra passi “lenti” e le relative pause, il mio folletto si agita: vuole fare il pieno di curiosità.
É tutto terribilmente bello. Oserei dire quasi inquietante, in questa nostra Avigliano, che, caparbiamente, vuole rialzarsi; sollevare le sue rotule, per troppo tempo affidate al terreno. Le note di sottofondo musicale, elevano; l'armonia profusa satura le antiche mura del luogo, tornato nuovamente ad essere sacro; come quando era il Chiostro del Convento Domenicano. L'indice di qualche osservatore si rivolge a quella foto, che scopro impreziosita dalla sua presenza o di quella di una persona riconosciuta. Delizioso il brusio di molti; l'erudito, amabile, racconto del suo autore, che risponde soddisfatto alle domande incalzanti; l'invito a far parte della neo Associazione Culturale Fotografica STOP, a sostenerla con un tesseramento... mi offrono un ampio raggio di riflessioni. Niente. Mi smarrisco tra i tanti occhi che cercano “acqua” e la trovano. Si, questa mostra è una sorgente! Cerco di comprendere quanto questa forma d'arte, nel suo essere medium, possa incidere sulla contemporaneità e sui suoi livelli compositivi. Dopo una prima lettura delle foto, mi intrattengo con Mariangela, Francesca, Ortensia. Parliamo. Arriva Antonietta, quantomai smaniosa di complimentarsi con le autrici, e riferire delle sue sensazioni. Ci raccontiamo. Siamo là, in ciascuna di quelle foto delle quali registro la loro capacità di catalogare gli eventi e di renderli importanti al punto da trasformarli: si irradia il profumo del fieno, della terra appena rinvangata da braccia provate che non abdicano alla vanità femminile adornandosi con l'orologio-monile; gli occhi delle capre; quella cascata; quei cactus... Siamo quel gatto sul tetto che vigila sdraiato di fianco la banderuola; Siamo nel buio di quella stanza, ma oltre la sua finestra siamo nella luce tersa, nitida, solare. Siamo quel mangiatore di fuoco, quel bel volto occhiuto di fanciulla ammaliante, quel cucciolo che fa bella mostra di sé. Siamo quel ramo, distinto tra tanti, in primo piano; quello spazio riflesso nel piccolo specchio d'acqua che il temporale ci ha lasciato. Siamo nel Crocifisso.
Quel Crocifisso tatuato, indelebile. Molto più evidente, forse anche più efficace di quelli aurei, indossati dai Principi di Santa Madre Chiesa. Siamo in quella luce calda, nel suo spazio attrattivo e inviolabile che trasuda saggezza: è il vecchio Dominique. Siamo tra quelle mani che il fanciullo mostra con ammonimento. Siamo quelle gemme rosso rubino dei tetti. Siamo in quel profilo di tetti stagliati, ma immersi, immediatamente confusi nel blu irradiato. Siamo quella grande ruota di fieno, il suo effluvio; quella strana, goffa, surreale, figura che aspetta seduta invasa dalla luce in quello scorcio amico. Siamo tutto questo e quello che saremo! Confesso che non mi è stato per niente facile riordinare le cose di questa esperienza, così, dopo un iniziale smarrimento ed un conseguente esercizio mentale ho finalmente tirato la somme sugli effetti che la Mostra, con le sue tematiche, mi ha prodotto. Sono qua che le rivedo. Eccole in fila le fotografie, nella loro sequela puntuale, adesso si allineano disponendosi in una prospettiva privilegiata: immagini esemplari, che non trascurano di proiettare la delicatezza, eleggono i rispettivi autori ad “Anime sensibili”; riferiscono del contesto ideologico e culturale di ciascuno di noi.