DI SEGNI E DELLA GOLIARDIA
di SEGNI e della GOLIARDIA
Disegni di Michele CANOSA - osservazioni
Evidentemente doveva ben saperlo Franz di farmi cosa gradita, quando ha deciso di inviarmi due disegni, eseguiti con la biro dall'amico Michele Canosa nel 1992. Ritraggono i volti - in uno, poco di più – di giovani donne, il cui sorriso, rilevo, è un continuo effluvio di giovinezza, cristallizzata da un quarto di secolo. Magico! A proposito di “magia”, cosa spinga un uomo a trasformare una superficie, un oggetto, o qualsiasi altra cosa in un'opera d'arte, resta un “arcano”. Meglio: è l'arcano dell’Arte. Almeno di quella tout court, che ci appartiene e che manifestiamo per il semplice fatto di essere uomini. Come sosteneva J. Beuys: si è tutti artisti. Sarà veramente così? Personalmente non ci credo. Anzi, credo che l'asserzione, nella sua generosità, sia forviante e rappresenti una sorta di manto celeste sotto il quale si proteggono in tanti.
Di certo c'è che è nell'Arte che stanno le ragioni del dirimere. Quello spazio da dove le nostre facoltà di uomini balzano, traducendo i modelli reali in un ordinamento idealizzato per completarsi perpetuamente: la cangiante fiamma con le sue volute, la sua luce, il suo calore, la sua ammaliante “inconsistenza”. Qui, però, un ruolo determinante lo gioca quella forma di intelligenza evoluta che è la Sensibilità. Cercare di comprenderla non è esercizio propriamente facile e molte volte, quando non diviene una trappola per improvvidi avventurieri resi goffi come l'Albatro di Boudelaire, si rivela un mero totem di vanità.
Ciò detto, di questi disegni, riconosco il loro carico di suggestione, per il quale il fattore tempo ci ha messo lo zampino è rappresenta il valore aggiunto. Un quarto di secolo! È trascorso un quarto di secolo. Quante le cose accadute?...Tempus fugit. E la società muta.
Nel segno indecifrabile del tempo, "i filosofi", che ci aiutano a comprenderne la trama, dicono insistere frazionabili infinitesimi decifrabili, intorno cui, talune volte, ci si riferisce e molte altre, perfino, ci si smarrisce. Ed io che conservo interesse verso il tema, non so spiegarmi come mai, ma spesso mi capita di pensare alla formula: “limx —› ∞”, sarà forse perché stabilisce di un dato certo che conosci e che riesci a quantificare, ma che è destinato a smarrirsi nella materia infinita, che lo inghiottirà lasciando solo la traccia della tua memoria!
Articolato suggestivo. Propendo a condividerlo. Anche perché, questa sorta di postulato astratto diventa materia quando, con sguardo potente, osservi la Storia: non solo quella che ti appartiene. É allora che, dalle turbolenze del "normale quotidiano", approdi al Magnifico, da dove quel “tuo mondo” lo scopri coincidere con quello dell’infinitesimo: una questione intrigante, difficile, e, forse, anche un po’ “repellente”, ma tant’è.
Disegni. Bei disegni. Fatti bene e con cura domenicana. Provo a raccontarli, magari oltre goliardia, come si vorrebbe, e invoco preventivamente la Vostra grazia. Auspicando un Vostro giudizio che vorrete pronunciare benevolo, e far transitare prima “Nel Vostro” cuore. Riferirò!
Dunque, riferirò di questi disegni, cosciente di avere una modesta conoscenza scolastica della Storia dell'Arte, peraltro limitata a pochi dei suoi periodi più noti. Per questo motivo - non da poco -, né posso né voglio attardarmi in un giudizio tecnicistico. Non saprei considerare se c’è o meno anacronismo sintattico nel chiaroscurale con il quale Michele intese registrare l’evidenza dei volumi, o se il livello di pressione, che a tratti impresse al lapis, fu disposto perché il soggetto assumesse deliberatamente il carattere di una volontaria maggiore incidenza, magari per marcarne l'espressione o per richiamare l’attenzione dell'osservatore. Ancor meno tratterò della loro impaginazione; del rapporto che Michele ha voluto instaurare tra lo “scritto” e lo spazio che lo avvolge. Ma, dirò.
Dirò, succintamente, di loro, di questi bei disegni, eseguiti con tratto netto senza pentimento.
Della loro grafia che si ripete, ma con fare semplice e deciso, che pronuncia armonia in una densità emotiva alta, che solo il volto di una giovane figura femminile (non poteva che essere così) sa annunciare. Qui, però, si esce dallo scontato e Michele lascia intessere, con te che osservi il suo soggetto, un dialogo breve, eppure denso. La fanciulla, la giovane donna, come una pupa nel suo processo di metamorfosi, diventa una Ninfa. Proprio come una Ninfa, col suo rituale pudico, non disdegna l’invito all’Amore. Ti porge il seno, che, grazie alla capacità grafica, e dopo averne subita la reazione, tanto è l'effetto reso di turgidità dei capezzoli, pare emergere dall’acqua. Questo, ha voluto Michele per “denunciarne” la carnalità: evidente, invitante, scoperta e da scoprire.
Lo sguardo di lei, sembra cercarti e ti coglie dopo aver appena fatto capolino da un poderoso virgulto.
La sua chioma rigogliosa, è gravida di luce che la rende speculare al flutto arcuato delle onde in cui la nostra Ninfa dimora. Tumide labbra, accennano a un sorriso non ancora soddisfatto; una forma convenzionale di approccio. Il segnale del desiderio di benessere, di bellezza, di gioia interiore, “che potete fare Vostro” sembra ribadire Michele ai fruitori di queste sue opere, attraverso un processo di interiorizzazione, che diciamo aver fatto, indifferentemente, Suo o Tuo! É lei, la giovine creatura, che ora ha raggiunto una nuova soglia. Di qua avanza, incede. Il suo percorso è offrirsi. E, inoculandoti, la pozione, ti ammalia con dolci parole: la sua fiaba.
Dunque, disegni che divengono voce narrante... raccontano della giovinezza immutabile, da serbare nella memoria con le frequenze della tua eco. Una Ninfa che danza e si muove fuggevole davanti al tuo tempo: uno nuovo...
E se non fosse tutto questo? -Mi sorge il dubbio.-. Magari è “solo” il personaggio allo stato embrionale di un improbabile fumetto, cui Michele ha sottratto la nuvoletta. E se, magari, la giovane eroina altro non è che il frutto plastico dell'inconscio ricordo di Eva Kant, la biondissima compagna di Diabolik, che le sorelle Giussani disegnarono, molto prima del 1992, verso la fine degli anni cinquanta, quando il Paese si preparava al boom economico?
In effetti, il tratto grafico e il contesto fisionomico reso, riferiscono della somiglianza con quella donna audace, innamoratissima del suo uomo. Magari, Michele trovò ispirazione in quel Mostro sacro dell'arte fumettistica che è Roy Lichtenstein, dalla cifra stilistica inequivocabile nel panorama della Pop Art degli anni sessanta. Chissà, mai lo sapremo a meno di una sua confessione. Resta il fatto che Michele, proprio come il Maestro, ci dice di una Donna che muta, che evolve godendo della modernità, consapevole, finalmente, del suo ruolo. I suoi occhi, lo sguardo, le sue movenze, la sua sensualità, sono il suo nuovo Essere donna, quello che guarda oltre la siepe e non lascia siepi che “Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude”. Assolutamente no, queste giovani donne si spogliano della carnalità e divengono progettiste del Tempo Nuovo, ne definiscono i tratti che incidono in un Manifesto. Non è il tempo della paura, e, non c'è più rito di sottomissione. Un passaggio faticoso, ma che, purtroppo, ancora non è metabolizzato, atteso la cifra, dannatamente alta, dei femminicidi.
Una lezione, questi disegni, che impegna alla riflessione, esattamente come il romanzo “L’arte della gioia”, di Goliarda Sapienza - che ho letto grazie all'invito a farlo di Concettina – dove si racconta di Modesta: un personaggio similmente iconico, col suo essere e sentirsi libera, senza i gravami di una pseudo moralità ostativa, che confida, cosciente di saperlo utilizzare, sul potenziale del suo Essere donna; di sapersi insinuare nelle fragilità storiche dei “maschietti”. Modesta però, a differenza di Eva, delle Vostre Ninfe, o delle donne di Lichtenstein, non vive nel mondo immaginifico del fumetto, o dell'Arte. Modesta non irrompe quando la storia è già consolidata, no, Modesta la storia la costruisce con pazienza e patimento, giorno dopo giorno. Lei studia il “sistema” per domarlo e vivere nella sua libertà ogni vicenda. Modesta, vive oggi, e, si sa, l’oggi è molto diverso dal quel “verso la fine degli anni cinquanta”, “degli anni sessanta”o da quel “1992”. L'Oggi lo consumiamo in tutta fretta, al punto da renderlo domani, e questa è una: “Question cruciale pour le genre humain”.